mi sono promesso di dire solo cose belle per non sembrare sempre brontolone.
il tè al limone e zenzero con il miele è molto buono.
un attacco di vomito da intossicazione a tre giorni dalla fine del mio ritorno solitario in india, con tanto di inside man in televisione, quadra alla perfezione il cerchio, non ti pare?
chaiyya chaiyya, chalo chalo.
stanotte viaggio in treno. sono riuscito ad avere una cuccetta in sleeper class, la stessa in cui avevo viaggiato due anni fa. ci sono esperienze che, fatte una seconda volta, sono molto meno traumatiche della prima. quasi rassicuranti. il bus e il treno in India sono tra queste.
ho il treno alle undici e mezzo di notte, quindi avevo tutta la giornata da passare in giro. troppo. ho un vantaggio rispetto a tutti i giovani viaggiatori che sto incontrando: ho uno stipendio. così mi sono concesso il lusso di tenere la stanza per un giorno in più, per non essere costretto ad alzarmi presto, a vagabondare tutto il giorno, a non avere un bagno mio in caso di bisogno.
così stamattina con calma ho deciso di fare un salto in stazione, per capire se il mio seater era diventato uno sleeper. convinto di poterci arrivare a piedi seguendo il GPS, ho ovviamente sbagliato strada, finendo dal lato opposto della ferrovia, dove la ghiaia viene caricata sui carri merci. praticamente uno scalo farini, infinitamente più grande e assolato. circondato da sterpaglie, con il solo rumore delle benne che scaricavanp ghiaia in una luce surreale.
quando ho deciso che non era il caso di insistere, dal nulla è spuntato un indiano con una bottiglia d'acqua, e parlando in indiano mi ha indicato un sentiero, l'ho seguito attraverso un guado, poi mi ha salutato e si è andato a nascondere nelle frasche. la bottiglia d'acqua era il suo bidet. in India non usano carta igienica.
uscendo dallo scalo mi son trovato tra cataste di pietra, massi enormi o lastre o schegge o semplici pietre. poi son comparse le gru, le seghe circolari, le seghe a nastro. i rumori, le persone. mi salutavano, stupiti della mia presenza. di sicuro ero il primo turista che sbucava dai cespugli nella zona dei tagliatori di pietra.
ho scoperto perché jaisalmer, la città d'oro, è così raffinatamente cesellata. alcuni palazzi sembrano ricoperti di merletto. da qui viene estratta un'arenaria color ocra, di grana finissima, facile da lavorare. gli scalpellini mi hanno chiamato, hanno voluto che li fotografassi, mi hanno mostrato i loro lavori più belli, mi han fatto vedere come riportano i disegni sulla pietra prima di scolpirla con martello e scalpello. mi hanno fatto vedere le pietre finite, in attesa di essere spedite a udaipur, e qualcuna addirittura in Italia.
sono andato in stazione in taxi, ed era perfettamente inutile andarci. ma se non l'avessi fatto non avrei scoperto qualcosa che non è su nessuna guida turistica.
nel pomeriggio sono andato da alí babà. è uno dei tanti negozianti del centro, vende i soliti vestiti colorati da hippie. mi ha fermato l'altro giorno, come tutti mi chiedeva di dov'ero, ma quando ha sentito Milano è scattato con una foga insolita, mi è corso dietro sventolando un biglietto da visita. dice di avere una fidanzata a Milano, lavora in una radio famosa. abbiamo chiacchierato, non ha cercato di vendermi niente, mi ha offerto un chai e mi ha raccontato della sua fidanzata italiana. così oggi son tornato, dovendo comprare delle cose è meglio da uno simpatico che da uno qualunque.
l'anno scorso gli è stato negato il visto per l'Italia, ci riproverà l'anno prossimo. ci siamo scambiati i numeri, ha voluto che scrivessi alla sua amica dal suo telefono, si è fatto una foto con il mio e l'abbiamo pubblicata su instagram. alla fine mi ha chiesto se potevo portare una cosa alla sua amica, voleva mandarle un regalo. mi si è acceso un campanello d'allarme ma ho lasciato fare, convinto che mi avrebbe dato una pashmina o altro di simile. invece mi ha lasciato solo in negozio ed è andato dal gioielliere a prendere due paia di orecchini d'argento. mi ha fatto tenerezza. chissà che storia hanno, ora son curioso di conoscere lei.
dicono che sia la città blu, delle pietre e dell'argento. ieri avevo visto solo sterco di vacca e paccottiglia. oggi ho dedicato la giornata alla visita del forte, e mi son ricreduto. il concierge (parla perfettamente inglese francese tedesco, è rasato a zero e ha l'orecchino, quindi merita il titolo) era molto stupito che oggi volessi vedere solo il forte. qui sono abituati a gente che arriva, vede il forte, dorme e riparte. io che mi fermo tre notti sono uno strano.
continuando il discorso di ieri sui turisti, c'è solo una categoria peggiore dei turisti occidentali: il turisti indiani. si muovono a mandrie, composte o da una singola famiglia (di almeno 10 persone) o di interi villaggi, e in tal caso si identificano facilmente perché hanno tutti lo stesso cappellino, come un bambini delle elementari in gita.
in ogni caso, occupano completamente lo spazio. vedere in una stanza di museo con loro è impossibile. stai guardando un dipinto, e loro sgomitano per starti davanti, ti spingono indietro fisicamente! aspetti il tuo turno per affacciarti alla soglia della sala del trono, e loro non se ne vanno più. stai per scattare una foto, e ti si mettono davanti. non uno, eh tutti!
leggi un pannello esplicativo sui diversi tipi di sciabole, e loro si mettono a darsi le sciabolate davanti a te... e la parte più molesta è quando il capogruppo decide che è il momento di andarsene, e non si limita a urlare chalo! chalo!, ma cava di tasca il fischietto e fischia un rigore! un fischietto! in un museo! transumano nella stanza successiva dopo aver avuto il tempo di fotografare tutto, e di vedere niente. cerco di approfittare dei pochi secondi di pace prima dell'arrivo della prossima comitiva.
il palazzo del maharaja è notevole, enorme e intarsiato come una torta di panna. pavimenti di marmo bianco e muri lucidati a pietra, baldacchini e portantine in argento e oro, cuscini e specchi ovunque. il palazzo è in ottimo stato, e una parte è abitata dai discendenti dell'ultimo maharaja, che ancora oggi mantiene il discendenti di un uomo fatto murare vivo nelle fondamenta per buon auspicio, nel 1400. affacciandomi ai bastioni penso che allora anche la vista della città dev'essere identica a com'era nei secoli scorsi, tranne (forse) i clacson dei tuc-tuc e le poche antenne satellitari.
vista dall'alto jodhpur è davvero blu. sembra quasi bella dall'alto. forse è questo il senso dei moderni grattacieli di mumbai: stare lontani dalla povertà che c'è sotto, per sentirsi ricchi e pensare che la città sia più bella della realtà.
atterriamo a jodhpur dopo un'ora passata a girare in tondo, come se i piloti si fossero persi l'aeroporto. che poi non è altro che una zona recintata all'interno di una base militare, per cui siamo scrsi dall'aereo circondati da soldati con mitra spianato. sorridevano, ma faceva comunque impressione.
jodhpur è piccola, ma contiene lo stesso casino di Chennai, che così compresso diventa frenetico. tutti suonano il clacson a tutti, i venditori del mercato urlano, i clienti urlano, i cani abbaiano, i bambini piangono, solo le mucche, imperturbabili, stanno ferme in mezzo alla strada e ci pensano su.
la novità, per me, sono i turisti. a mumbai era facile evitarli, bastava uscire da colaba, e c'era una città si tredici milioni di persone ad attendermi. qui ci sono i gruppi dei tour organizzati, riconoscibili perché sembrano in pullman anche quando sono a piedi: in fila per quattro e con la guida davanti. quando si fermano si mettono a testuggine romana, e si difendono con le macchine fotografiche dall'assalto dei venditori.
mi allontano dal centro per non confondermi con loro, cammino fino ai giardini, un posto di pace dove il ragazzi giocano a cricket (con molta meno convinzione che a mumbai) e gli anziani a carte, e rientro facendo la via degli artigiani. un lustrascarpe mi chiede se mi sono perso. una mucca attraversa la strada lentamente, come pensandoci su.
tornando verso l'albergo vengo circondato da bambini che vogliono essere fotografati, e avvicinandomi al centro ecco che ritrovo il venditori di souvenir e di paccottiglia. è questo che fa si che io non voglia essere confuso con i gruppi organizzati, la considerazione che questo centro bellissimo, con il mercato antico e vivo, ogni volta che lo si osserva da turisti se ne fa morire un pezzo, ci sarà una bancarella che invece che vendere frutta o pentole come ha fatto per generazioni, venderà bracciali made in china, o braghe per ragazzine occidentali che pensano di vestirsi come in India (ma nessuno si veste così qui).
torno in albergo, a cenare sotto la vista impressionante del forte, lasciando le mucche a pensarci su.
visto che devo aspettare il volo, cerco di ricordare cosa avevo scritto ieri sera. detesto riscrivere, anche perché questo blog è sì un modo per aggiornare lammamma e gli amici, ma soprattutto un modo mio per ticordare di più dei viaggi. quindi una volta scritto libero la memoria, se poi perdo Il post sono cazzi.
comunque ho dovuto cambiare albergo perché quello dei giorni scorsi non aveva più posto, e ne ho trovato uno vicino all'aeroporto. visto che sono quasi due ore di taxi, meglio farsele la sera con calma che la mattina con l'ansia, mi sono detto.
calma un corno: il tassista l'ho scelto perché è il primo che ho trovato, e anche perché era un anziano musulmano con la faccia simpatica e gli occhi vispi dietro gli occhialetti (i musulmani hanno una guida meno aggressiva degli indù se non siete di fretta preferiteli). traffico micidiale come sempre, ovviamente non conosceva la strada ma l'ho fatto arrivare in zona, mentre per sicurezza controllavo dove eravamo sul GPS. il tassista è sceso quattro volte a chiedeee indicazioni con il mio taccuino in mano, e ogni volta tornava ridendo. alla fine siamo arrivati a destinazione (di fronte a McDonald's, dopo tal edificio, dietro tal ristorante era l'indirizzo esatto). una topaia buona solo perché è vicina all'aeroporto. il tassista era simpatico e si è sbattuto, così gli ho dato una mancia che era la metà del prezzo della corsa. ah, a proposito: guidava come un pazzo.
del cricket volevo dire che l'altro giorno, mentre ero all'oval maidan a guardare venti partite, si è seduto accanto a me un ragazzo e abbiamo chiacchierato un po'. mi ha fatto le solite domande, fino al perché non sono sposato, e se ho mai "rejoiced" del sesso fuori dal matrimonio. l'ho scandalizzato (sì mamma) e quando mi ha chiesto quante volte e gli ho risposto chiedendogli se voleva sapere quante volte o con quante donne, perché le volte non ero in grado di contarle (sì, mamma) ha quasi avuto un infarto. lui si è appena diplomato al college, e l'anno prossimo si sposerà, e ovviamente è vergine. però si rifarà,perche è musulmano e qui in India potrà avere fino a quattro mogli.
mi ha dato una lezione di vita su perché è giusto c'è un uomo abbia più mogli (un uomo ha bisogno di essere soddisfatto) e perché le donne non devono avere più mariti (come si fa a sapere qual è il padre dei figli, poi?), e soprattutto mi ha esortato calorosamente a prendermi cura di mia sorella appena rientro, perché questa situazione è insostenibile! non è possibile che non abbia un marito! devo assolutamente fare qualcosa e riportarla sulla retta via per il bene della famiglia e per salvare il mio onore!
per fortuna in tutto questo è arrivato il suo amico, c'è lo prendeva in giro ad ogni frase.
mi sono divertito un sacco. mamma e sorella, quando torno facciamo i conti!
porca miseria avevo scritto un post bellissimo e si è cancellato!
accontentatevi:
http://it.m.wikipedia.org/wiki/Cricket
1. come attraversare la strada
lasciate perdere i semafori, sono un'istigazione al suicidio. il guidatori indiani - soprattutto il tassisti - se ne fregano dei semafori, a meno che non ci siano almeno quattro poliziotti di guardia all'incrocio. e anche in quel caso si fermano ben oltre le (labili) strisce pedonali. per attraversare incollatevi ad un indiano che deve attraversare, standogli sottovento. quando lui va, voi andate. in mancanza di un indiano, guardate le macchine che vanno nella vostra stessa direzione. è probabile, anche se non certo, che quando c'è traffico dall'altra parte gli automobilisti si fermino. tutto ciò è assolutamente indipendente dal colore del semaforo, per cui cercate di attraversare più in fretta possibile
2. i venditori
essendo evidentemente non indiani, e quindi turisti, e quindi pieni di soldi, e quindi bambascioni, i venditori non vi daranno tregua. anche chi attacca bottone dicendo che non vuole denaro, alla fine ve ne chiederà, o cercherà di vendervi qualcosa. a meno che non abbiate intenzione di comprare, o di essere munifici, non fatevi problemi a essere un po' rudi. il no non basta. fare finta di niente non basta. l'unica cosa che funziona è il gesto con la mano, tipo sciò! preferibilmente con la sinistra. quello di solito funziona, anche se fanno la faccia offesa. attenzione a non farlo per sbaglio, tipo a un cameriere. il nostro gesto "tutto bene", fatto con la mano aperta con il palmo verso il basso e mossa in orizzontale, per loro significa "vattene". è un po' rude, ma eviterete anche a loro una perdita di tempo con voi.
3. il cibo
a mumbai e nel sud dell'India il cibo è essenzialmente vegetariano. troverete qualche ristorante "non veg", ma sono pochi e costano di più. quelli più tradizionali sono "pure veg", evitate di chiedere il chicken biryani... il piatti a base di riso (pulao, biryani, thali) riempiono molto e nutrono poco, anche se sono saporiti. soprattutto sentirete presto la mancanza di vitamine. per questo, oltre a ricorrere ad un integratore, non disdegnate il pezzetti di lime che vi offrono a fine pasto, né i semi di anice, che sono un potente anti-fermentazione (contro le puzzette, sì). gli indiani mangiano molta frutta durante il giorno, per questo non ne troverete nei ristoranti, ma nelle bancarelle per strada. la frutta è buonissima, molto più che in Italia. scoprirete il vero sapore delle banane, del mango, e di un frutto stranissimo che sembra un carciofo, ma ha una polpa deliziosa che ricorda il sapore della vaniglia.
la migliore bevanda è il latte di cocco. la palma è alta, e le sue fibre sono un ottimo depuratore. fatevi spaccare una noce di cocco da un venditore per strada, e bevetene il succo (rifiutate la cannuccia). è la bevanda più sana e dissetante che potete trovare.
se vi viene voglia di carne e cedete alla tentazione dei ristoranti all'occidentale, evitate il manzo. in tutta l'India macelleranno si e no dieci mucche all'anno, non mi sembra una buona idea fidarsene. meglio il pollo, che qui è più sano che da noi.
4. la gente
gli indiani sono tanti. tantissimi. sono abituati a stare vicini tra loro. non abbiate paura a camminare nella folla per strada, per loro è normale spintonarsi un po'. se nella calca vedete uno spazio libero, non andateci tirando un sospiro di sollievo, se è vuoto c'è probabilmente un motivo valido. vi piomberá addosso un pullman, o uno stormo di cornacchie vi cagherà in testa. gli indiani ne sanno, fate come loro.
varie
gli uomini sputano. masticano sacchettini riempiti di spezie da venditori di strada, salivano come cammelli e fanno certi sputi da mezzo litro che oltre a fare schifo, probabilmente sono indelebili. se vedete un uomo che si inclina in avanti, passategli dietro: sta per sputare.
non credetevi furbi a contrattare il prezzo coi tassisti, come dice la guida. siate inflessibili e fategli usare il "meter", il tassametro. diteglielo prima di salire. se rifiuta, prendete un altro taxi. spenderete meno della metà rispetto al prezzo trattato. ma siate abbondanti con la mancia.
altro consiglio per i taxi: scrivere l'indirizzo dove dovete andare su un foglietto è inutile, sono quasi tutti analfabeti, e non conoscono il nomi delle vie. anche le mappe servono a poco, non le sanno leggere.
piuttosto guardate su guglmaps se c'è un punto di riferimento vicino (un ospedale, un tempio o una stazione) e ditegli quello. quando saranno in zona chiederanno aiuto a un passante, che saprà leggere e conoscerà la via. quindi fatelo, quel bigliettino.
p.s. scaricate la mappa offline sul telefono, è comodo.
se vi sedete da qualche parte per un po', tipo a riposarvi all'oval maidan guardando le partite di cricket, qualcuno si siederà vicino a voi e vi chiederà, nell'ordine: da dove venite (what's your good country, sir?), che lavoro fate (business), dov'è la vostra famiglia, in che albergo alloggiate, quanto pagate la stanza e se vi piace l'india. poi vi ricorderà che Sonia Gandhi è italiana, vi saluterà gentilmente e andrà via felice. è solo inoffensiva curiosità, approfittatene per restituirla e fare le vostre domande. e trovare il coraggio di darvi delle risposte.
se improvvisamente vi trovate in un posto dove ci sono più di due turisti occidentali oltre a voi, avete sbagliato posto. siete in India, state con gli indiani, cribbio!
un'ultima considerazione: a mumbai non esiste il suono delle sirene, né della polizia né delle ambulanze. qualunque cosa significhi, fateci caso.
*questo post verrà integrato con eventuali nuovi consigli
sto finalmente cominciando ad ambientarmi. la scelta di passare un'intera settimana a mumbai sembra rivelarsi giusta: mi permette di ambientarmi lentamente, senza aggiungere il pensiero degli spostamenti al caldo al cibo, alla gente, alla solitudine e tutto quanto.
mumbai si sta rivelando come il mio purgatorio per entrare in India. mi rallenta i tempi e il metabolismo. mi allunga le giornate, mi fa aspettare la lentezza del tempo. e mi sta facendo sudare l'impossibile. la fronte mi si è ancora coperta di minuscoli brufoli da sudore, li elimino passandoci sopra l'unghia dell'Indice: tac tac tac! significa che sto buttando fuori tossine.
il cibo qui è inutile e buono allo stesso tempo. essenzialmente a base di riso, con salsette ultrasaporite vicino. manca completamente di sostanza, ma in compenso gonfia tantissimo. sono sazio e affamato allo stesso tempo. sarà per questo che qui la gente mangia a qualsiasi ora, e son tutti magri e con la pancia, come dei merli.
ieri sera mi sono rifugiato al mondegar, perché sapevo che lì avrei trovato un po' di carne. pollo tandoori buonissimo, mi ha fatto piacere.
oggi sono stato così bravo da seguire il mio programma:stamattina ai dhobi ghats, poi crawford market, poi museo. ora mi sono rifugiato sa star*ucks, nel retro del taj mahal. è il male, ma ha poltrone comode, caffé buono, wi-fi gratis e aria condizionata a palla. un inferno gelato.
il dhobi ghats sono le lavanderie municipali: una serie di vasche di cemento piene d'acqua dove viene fatto tutto il bucato a mano della città, poi viene steso ad asciugare rigorosamente per colore. la parte deprimente è che li si vede da un cavalcavia, che fa da balconata per decine di turisti (qui è stranamente pieno di tedeschi) che fanno tutti la stessa foto (anche io), assediati da indiani che cercano di vendere paccottiglia.
almeno la gita mi ha dato la scusa per prendere il treno, anche se per poche fermate.
di crawford market non scriverò, perché ci ero già stato. è identico a due anni fa. tié.
oggi avrei voluto scrivere del cricket. invece no. oggi è diwali, e scriverò del diwali.
Il diwali è la ricorrenza del ritorno a casa di rama, dopo 14 anni di prigionia. per l'occasione parwati illuminò il sentiero di casa con dei lumini, e per tradizione si mettono dei lumini alla porta di casa, si mettono luci natalizie, ci si veste bene, si esce a cena in locali di lusso (cioè quelli per turisti) e soprattutto si tirano il petardi. visto che a tutti gli indiani piace fare festa, anche il musulmani fanno le stesse cose. non ho idea di cosa pensino gli estremisti di questa forma di eresia.
il botti sono la parte di festeggiamento che piace di più, sembra una guerra, anzi peggio: sembra il capodanno a napoli. non fate conoscere il diwali ai napoletani, altrimenti quelli fanno come il musulmani indiani e si mettono a festeggiarlo pure loro.
io sono andato a vedere il botti a marine drive. più che botti sono dei veri e propri fuochi d'artificio, ma sparati dalla gente lungo tutti i tre chilometri di lungomare. sicurezza zero, gente tanta. mi sono fermato Il tempo di fare qualche foto, poi quando un fuoco di quelli che dovrebbero esplodere a trenta metri d'altezza ha pensato bene di farlo a terra, a dieci metri da me, ho deciso che avevo fatto abbastanza foto.
per festeggiare diwali a mio modo, ho perso la carta di credito. dev'essere uscita dal portafogli mentre pagavo qualcosa. ho vuotato il portafogli del superfluo prima di partire, e la mancanza di pressione ha fatto sì che la carta potesse scivolare. me ne ero accorto, l'avevo spostata in una posizione più sicura, ma non è bastato.
ho rifatto al trotto tutto il giro dei posti in cui avevo usato il portafogli, chiedendo in bar e ristoranti e guardando per strada, ma niente. le carte di credito qui fanno gola (shantaram docet), e mi son dovuto adattare a bloccarla.
per fortuna avevo pensato di tenere il bancomat da un'altra parte, e ho dietro un bel po' di euro. continuare il viaggio non è un problema, ma avrei evitato volentieri, soprattutto già al secondo giorno di viaggio. tanto più che qui molti alberghi chiedono la carta di credito come garanzia per le prenotazioni telefoniche.
happy diwali.
sarà che domani è diwali, sarà che ha dodici milioni di abitanti, e una città così grande non può non cambiare, ma mumbai non è la stessa di due anni fa. è più bella. caotica, vivace, degna, orgogliosa e sorridente.
questa volta mi sono concesso il lusso di farmi venire a prendere in aeroporto con la macchina dell'albergo. costa il triplo di un taxi, ma vuoi mettere la soddisfazione di vedere l'indiano in livrea viola e nera che mi aspetta con un cartello con scritto "welcome mr matteo"? e poi quel tragitto di un'ora e mezza, sopra e sotto il cavalcavia, attraverso lo slum di dharavi, con il traffico più incredibile, le coppiette in moto - lui col casco, lei col saree tirato sul viso per non prendere polvere.
mi sono commosso. avevo voglia di essere qui. nella gente, nel casino, nel caldo. la gente che mi sorride per strada senza motivo, come al burning man, il casino che mi avvolge e mi guida lasciando spazi piccoli da riempire, che messi in fila fanno un percorso, il caldo che mi fa appiccicare addosso gli odori e il rumori.
no, non è la città ad essere cambiata. è che questa volta non ne ho paura. riesco persino ad attraversare la strada. mi ci lascio andare, mi sento bene.