venerdì 18 ottobre 2013

tirare i colli (un fisico da passista ma velleità da scalatore)

avrei dovuto allenarmi per l'eroica. avrei dovuto. invece ho solo provato a vedere come andava con le salite. mi ero anche preparato il solito road-book, il fogliettino da tenere nella tasca dietro la schiena con gli appunti sulle svolte, le rotonde, le provinciali. e l'ho dimenticato a casa. era un segno, ma come si fa a tener conto dei segni, senza ricorrere al senno di poi?
da piacenza a castell'arquato è piatta, di quel piatto mattutino e umido che sembra piatto ma non è. dai la colpa all'ora, all'umido che incolla l'asfalto, poi capisci che c'è quella pendenza invisibile che ti fa spingere caparbio come se fosse pianura davvero, e invece ti sta spossando lentamente. poi, dopo castello, cominciano le salite, quelle serie. quelle che sai perché stai facendo fatica, e l'accetti con la rassegnazione che ti porta fino in cima. è zona di vigneti, e come cresce bene l'uva crescono anche le more. mi dico che fanno bene, soprattutto quelle grosse e nere e succose, e soprattutto ai ciclisti.
la discesa verso salsomaggiore è un toboga divertentissimo. stradine strette che a tratti franano, con mini cantieri sterrati e chicanes tra i campi. sembra la pista di gressoney, quella che arriva a punta yolanda. o uno scivolo dell'acquafan (non sono mai stato all'acquafan). ovviamente non penso nemmeno alla concreta possibilità di schiantarmi. morirei felice. le gomme da 32 sul bicio stanno da dio. una stabilità mai provata prima, tengono benissimo e rotolano fluide, peccato che su alba non ci stiano, altrimenti commetterei l'eresia anche su di lui (alba rosso acciaio è maschio, ricorda).
la salita per scollinare verso fornovo è massacrante. lì comincio a sentire tutti i chili di troppo, tutti i chilometri di troppo poco. arrivo in cima, vedo passare un'osteria con gli operai che si lavano le mani alla vasca sulla strada. penso che sarebbe bello mangiare lì, ma il bicio non si ferma, è troppo bella la discesa, ce ne saranno altre.
fornovo è come nella canzone di daniele silvestri. vicino all'incrocio di un paio di strade sterrate, che senza apparente motivo si incontrano, e poi disperate ripartono. una città inutile e brutta. non offendetevi, ma è così. solo un bar per mangiare un panino stanco. michela è carina e gentile, ma non abbastanza da far apprezzare la sosta. certe cose, con la stanchezza della bici, fanno male. bisogna avere un motivo per andare avanti, uno stomaco pieno e un'avventura. una soddisfazione che spinga avanti. quando butti il cuore oltre l'ostacolo, e oltre l'ostacolo trovi fornovo, decidi che non ne vale la pena.
lo smacco è che gli ultimi trenta chilometri, fino a parma (invece di langhirano, cavriago e reggio) li faccio a velocità da record. non ho il computer, ma credo di essere stato costantemente ben oltre i trenta.
arrivo a parma giusto in tempo per perdere un treno, mi tocca aspettare due ore per il regionale successivo. faccio due passi, la città la conosco anche troppo bene. il caso mi viene incontro come un frecciarossa, proprio ora, proprio qui. addio, parma.