sabato 16 novembre 2013

pushkar 3 (il tappeto volante)

i momenti più belli di pushkar sono l'alba e il tramonto. dell'alba non so niente perché non l'ho mai vista, i tramonti li ho visti tutti. al tramonto ci sono ancora fedeli che fanno il bagno, già altri accendono lumini galleggianti, un tizio suona i tamburi, dagli altoparlanti escono i mantra a tutto volume, i turisti si raccolgono ai ghat a vedere il sole che scivola al di là delle dune, a violentare altre notti come diceva de André, e i suoi riflessi sull'acqua e sul celeste dei templi. i baba si raccolgono in gruppi, negli angoli meno trafficati delle piazze, e si preparano a dormire. è un momento di pace. perfino le mucche si siedono e ruminano sulla giornata trascorsa, mentre le scimmie ripuliscono gli ultimi avanzi di cibo. stranamente, sempre alla stessa ora, un gruppo di oche attraversa il lago e va ad appostarsi vicino al ponte.
la fiera sembra non esistere, da qui. il trambusto, le urla, la polvere non arrivano al lago. restano là gli ammestratori di scimmie, i cammelli imbizzarriti, i maestosi cavalli albini. anche il venditore che mi ha venduto due coperte per il viaggio, è là che si frega le mani per l'affare, non ho praticamente trattato, gli ho solo fatto aggiungere una coperta al prezzo di partenza di una sola. ha vinto lui stavolta. un ragazzo che cercava di vendermi braccialetti intarsiati mi ha detto che quest'anno la fiera va male, lui è venuto apposta da Delhi e ha finito i soldi, domani torna a casa in anticipo sulla chiusura della fiera. c'è poca gente, pochi turisti, e ormai la fiera è diventata un baraccone, non è più il ritrovo e il mercato dei cammellieri come una volta.
anche i lottatori sono rimasti là, rotolati nella rena. anche i giocatori di palla prigioniera e i venditori di zucchero filato rosa e i nitriti nervosi dei cavalli neri con una stella bianca sulla fronte. qui al lago sacro c'è solo la quiete e i pink floyd.
per me è stato l'ultimo momento di calma in attesa di prendere il bus. all'appuntamento dell'agenzia ci sono altri turisti e questo mi conforta, sia per la compagnia sia perchè vuol dire che il bus c'è davvero, non si sa mai. ci sono un inglese, un'americana, una coreana, un'israeliana e due tedeschi, ma nessuno racconta barzellette. solo elenchi di posti già visitati o da visitare. l'inglese è in giro per il mondo da agosto, gli altri sono tutti studenti. per fortuna in inglese non esiste il lei.
l'autobus è il solito semi-sleeper, con una doppia fila di poltrone reclinabili, e due ordini di cuccette singole da un lato, e doppie dall'altro. nella cuccetta ci sto a malapena, è più corta di me e larga come le mie spalle o poco più. chiacchiero un po' ma crolliamo tutti presto, star su è troppo scomodo e il bus oscilla e fa venire nausea, meglio sdraiarsi.
salendo avevo chiesto quante fermate avremmo fatto, mi hanno fatto segno quattro con la mano. evidentemente intendevano quaranta. a ogni sosta le urla dei carovanieri, scortesi come sempre, dei passeggeri in salita e in discesa. il clacson del bus, che l'autista usa copiosamente, è un campionario di suonerie da cellulare amplificato, e a lui piace molto sentirle tutte ogni volta che ne ha l'occasione.
a una sosta più lunga e rumorosa delle altre apro il vetro fumé della cuccetta e guardo in corridoio, è tutto cosparso di fagotti. uno si muove, sono persone che dormono. gli indiani sono incredibili, a forza di Shanti si adattano a qualunque cosa. qualcuno dorme seduto per terra con una coperta sulla testa, perché non ha spazio per sdraiarsi. metto via il mio senso di colpa, chiudo e mi riaddormento sentendomi improvvisamente comodo.
insomma, dormo a tratte di mezz'ora, un'ora al massimo. ogni tanto controllo sul GPS dove siamo, giusto per la curiosità.
arriviamo puntuali a jaisalmer. alla fermata che poi è un benzinaio c'è un'auto dell'albergo ad aspettare me e un'altra ragazza, ci sembra un lusso dopo tutto quel trambusto.
sono le sette del mattino, e mi hanno già dato una stanza. ora si dorme.

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