giovedì 30 novembre 2017

varuna, assi

varanasi è bellissima.
mahendra ha le barche con il motore elettrico, ha i pannelli solari sul tetto di casa, con cui carica le batterie. ci affida a suo fratello. scivoliamo in silenzio tra barche a motore cariche di coreani e barche a remi. il sole sorge oltre lo spiaggione dall'altra parte del fiume, dove non c'è città. il fratello (di cui ho dimenticato il nome) ci dice che vive in Giappone, è qui perché è morto il loro fratello minore. entrambi sono rasati a zero in segno di lutto. quando mahendra ci accoglie a terra abbiamo l'impressione di essere stati dei privilegiati, siamo riusciti a trovare silenzio e tranquillità in un momento di punta, ci siamo spinti fin dove le altre barche non andavano, abbiamo chiacchierato con una persona che aveva solo voglia di comunicare, e non di vendere.
passiamo dai ghat delle cremazioni.
ci ha spiegato che morire a varanasi è un modo per raggiungere la purificazione uscendo dal ciclo delle reincarnazioni (praticamente una scorciatoia), e che chi può si fa almeno cremare qui, anche se è morto altrove. o fa disperdere le ceneri qui. con la cremazione di rinnova il ciclo delle reincarnazioni, finché l'anima non sarà purificata e potrà raggiungere il nirvana.
le uniche persone che non vengono cremate, ma gettate nel fiume legate a una pietra, sono i bambini piccoli (perché non hanno peccati), le donne incinte (perché sono due persone, e una è un bambino), i santoni (perché sono già santi), i lebbrosi (non ho capito perché), e chi muore per il morso di una vipera, cioè di un cobra. qui il cobra è un animale sacro perché rappresenta shiva, e molti ne tengono uno in casa. sono addomesticati e non pericolosi, ma qualche volta qualcuno ci lascia le penne, insieme ai contadini che vengono morsi nei campi.
chi muore per un morso di cobra però non è veramente morto, e allora il cadavere non viene affondato con una pietra, ma legato a una zattera di banano e affidato alla corrente. saranno i santoni piu a valle, verso Calcutta, a curare il malcapitato, ridargli la vita e insieme, la santità.

valeva il viaggio: il tè offertoci da mahendra. dopo che avevamo fatto il giro in barca, dopo che l'avevamo pagato. non ne aveva nessun motivo, se non il piacere di chiacchierare. ci chiamerà domani, quando saremo a mumbai, per salutarci. 

treno!

abbiamo visto il taj mahal. è più grande e meno bianco di come lo immaginavo. poi ad agra c'è l'ennesimo forte, ma questo è meno bello degli altri, perché è in pianura ed è stato costruito dai moghul, che erano musulmani e in quanto tali non si facevano fare ritratti. poi siamo stati a un bazar, un dedalo di vie di mercato dove la gente arranca in una calca a tratti impossibile, ma i negozi sono colorati e nessuno ci infastidisce cercando di attirarci nel suo negozio.
poi abbiamo noleggiato un'auto e siamo andati a fatehpur sikri, un posto costruito per essere capitale, ma c'era poca acqua, e allora è stato abbandonato. è rimasto un palazzo fantasma, bellissimo, vuoto, suggestivo e tenuto benissimo.
la stazione di agra in realtà era fuori città, una stazione di passaggio per i treni che da Delhi vanno verso varanasi e oltre. la stazione è desolata, senza tabelloni elettronici, gli unici tabelloni sono degli enormi elenchi di treni, con l'orario, la destinazione e i giorni, ma senza il binario e, soprattutto, scritti solo in hindi.
qui il turista non è contemplato. raggiungiamo una sala d'attesa, dove una ragazzina intraprendente ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto, e ci mostra un sito con lo stato del treno, ma ancora non si sa quale sia il binario. una famiglia di topi perlustra la sala d'attesa, a tratti preoccupata dalla presenza umana. la volta della stazione è popolata da migliaia di uccelli simili a storni, fanno un baccano infernale.
passa un gruppo di inglesi con quello che sembra una guida, lo aggancio e gli chiedo del binario e dei posti, sul nostro biglietto non sono segnati. mi dice che il binario è quello accanto, prende nota dei nostri nomi e ci dice che quando arriverà il treno dovremo metterci li, e lui ci dirà dove andare. capisco che non è una guida, ma il tabellone elettronico-umano. ci rilassiamo, chiacchieriamo con una coppia di portoghesi (che hanno il biglietto), sono simpatici, in India per la prima volta da due giorni. il bello dei viaggi è scambiarsi impressioni e consigli.
siamo in prima classe, in scompartimento con una coppia indiana, lei ci spiega come fare il letto. le ferrovie forniscono cuscino, due lenzuola e coperte, già infilate in una specie di copripiumone. sono le lenzuola più pulite da quando siamo in India. il treno è in ritardo di quasi un'ora, arriveremo con un ritardo di tre, ma è un bene, così abbiamo più tempo per dormire e arriviamo alle otto, un orario accettabile.

valeva il viaggio: il viale d'ingresso di fatehpur sikri, fatto a piedi invece che con la navetta dal parcheggio. con il piazzale ad archi e i resti delle antiche botteghe. 

sabato 25 novembre 2017

due giorni a jaipur

sarebbero tre, ma il primo l'abbiamo passato fuori città, quindi sono due. ieri abbiamo preso un autista per un giro personalizzato, perché volevamo vedere posti che non sono nei giri standard, e volevamo muoverci con i nostri tempi e ritmi.
appena partiti abbiamo avuto un piccolo incidente, una moto ha toccato il parafango della macchina. da com'è il traffico qui pensavo che fosse ordinaria amministrazione, le macchine sono tutte ammaccate e una botta in più, una in meno... invece il tipo in moto non si è fermato, e il nostro autista l'ha inseguito a clacson spianato, avrei avuto paura se non fosse che tutto sommato la velocità non era enorme, e gli ostacoli erano solo bipedi o biciclette, o moto. ecco, loro li ho visti morti. ho pensato che fosse inutile, figurati se in questo traffico una macchina può raggiungere una moto... invece il motociclista semplicemente non aveva dato peso all'incidente, e se ne andava tranquillo. il nostro l'ha superato(suonando),l'ha stretto (sempre suonando) e tutto ciò davanti alla polizia: a Milano l'avrebbero arrestato per guida pericolosa, qui non gli hanno nemmeno chiesto i documenti, si sono avventati sul povero motociclista e hanno deciso che aveva torto marcio.
insomma poi abbiamo visto tutti i forti, il pozzo a gradini, gli elefanti, un tempio, un palazzo, un osservatorio astronomico, tutta la lista. tutto bello, tutto tenuto così cosi, alcune cose piene di turisti, altre meno (le più belle, per me). intorno al nahargarh fort ci sono molti pavoni in libertà, sembrano selvatici. ci ha attraversato la strada una mangusta. l'aria è piena di falchi. da tutti i forti c'è una vista magnifica:la pianura della città è interrotta da colli alti e ripidi, e su ogni colle un forte, qualche volta un tempio o un palazzo, tutti collegati da bastioni perfettamente conservati.
l'Osservatorio astronomico è bellissimo, sembra una città immaginaria di De Chirico.

valeva il viaggio: su tutta la città volano gli aquiloni, sul tetto di ogni palazzo c'è un bambino che ci gioca. e volano anche quando non c'è vento. e c'è una strada dove ci sono solo negozi che vendono aquiloni.

mercoledì 22 novembre 2017

italiani in india

ovvero la fenomenologia del viaggiatore.
ora qui è bassa stagione, perché il turismo è soprattutto europeo, e in Europa le ferie si prendono a dicembre, non a novembre. quindi i turisti sono pochi. a mumbai non se ne vedono quasi, quei pochi sono raggruppati a colaba, la zona a sud del centro, e soprattutto pascolano al gateway of india o bevono una birra al leopold, l'unico locale famoso della città. gli unici italiani che abbiamo incontrato erano alle grotte di elephanta, e si lamentavano perché l'ingresso per gli indiani costa 30 rupie, mentre per gli stranieri costa 500. gli ho fatto notare che sono sette euro, e per un italiano che si può permettere un viaggio in india pesano meno delle 30 per un indiano. è rimasto lì a borbottare che però non è giusto.
a jpdhpur i turisti arrivano con il pullman, li scaricano al forte a fare oooh guardando la città dall'alto, poi li mollano al mercato della clock tower a farsi spennare, li vedi che non sanno da che parte girarsi tra un mendicante, le cacche di mucca, le mucche, le bancarelle di stoffe e di spezie. non sanno se essere affascinati o schifati, di sicuro non vedono l'ora di risalire sul pullman e avere di nuovo un vetro tra sé e il mondo. come in TV.
a Pushkar ci sono i fattoni professionisti. quelli che si vestono come pensano che ci si debba vestire in india, ovvero a metà tra dei guru, degli insegnanti di yoga e dei tossici. peccato che in india nessuno si vesta cosi: né i guru, né gli yogi, e i tossici qui non ci sono proprio. e quei vestiti di cotone a fiori da Beatles anni 70, gli indiani li vendono solo ai turisti. il turista di Pushkar ha trovato il suo nirvana: ha i dreadlock, gira scalzo, è sporco, è pieno di paccottiglia ai polsi e al collo. mi viene il sospetto che gli indiani di qui pensino che siamo tutti così. per dimostrare il contrario porto con orgoglio il mio completo adidas-levis-lacoste.
a Jaipur l'autista ci porta nell'ufficio dell'agenzia, dobbiamo pagare il servizio. scopriamo che siamo invitati a cena insieme ad altri italiani: una coppia di siciliani e una di toscani. nord-centro-sud, ci siamo tutti. fa piacere rilassarsi un paio d'ore, confrontarsi e parlare italiano. è come fare una pausa di casa a metà del viaggio. la ragazza siciliana è preoccupata per la pulizia, dice che le va bene tutto basta che sia pulito, la deludo suggerendole di dimenticarsi la pulizia. l'India è sporca, va accettata com'è e ammirata per altro. la signora toscana non mangia nulla se non sa cosa c'è dentro. le cito i nomi dei piatti suscitando il compiacimento del nostro ospite: biryani, palak, aloo jeera, naan... non funziona. le dico che se lo mangiano gli indiani lo possiamo mangiare anche noi, e che la cultura si capisce più da una cena che da un tempio. convinco solo suo marito.
non le confesso che avrei una gran voglia di un piatto di bresaola.

valeva il viaggio: il ritmo con cui gli operai stampano le stoffe, con i blocchetti di legno. ognuno con la sua parte di disegno e con il suo colore, in tre sullo stesso pezzo di stoffa. veloci, precisi e a tempo.

lunedì 20 novembre 2017

il sorpasso

"per guidare in India servono tre cose: una buona fortuna, dei buoni freni e un buon clacson".questa è la filosofia del nostro autista. e tutto sommato, se siamo arrivati a Pushkar senza un graffio, deve averli avuti tutti e tre. per strada succede di tutto: gente a piedi in autostrada, apecar che trasportano carrozzerie di camion, capre cani cavalli mucche maiali cammelli che pascolano indifferenti ai clacson e alle frenate. moto con intere famiglie a bordo, compresi i bambini piccoli (rigorosamente con gli occhi truccati), tenuti appesi a sbalzo da madri avvolte nel sari. qui pare che i turbanti siano molto più apprezzati dei caschi. non solo:pare che chi sorpassa contromano in curva invadendo la corsia opposta possa vantare diritti di precedenza a noi ignoti. di sicuro sono tutti molto attenti a evitare le mucche, che attraversano la strada con flemma bovina, impegnate ad andare dove loro sanno, e noi no. un po' perché sono grosse, un po' perché sono sacre, ho l'impressione che se l'autista dovesse scegliere se investire una mucca o una famiglia in motocicletta, la mucca sarebbe comunque salva.
altra scoperta della giornata è che alcuni alberghi, e anche gli autogrill (niente più che cubetti di cemento con qualche tavolo mal pulito e le menthos sul bancone) hanno una zona riservata agli autisti. anche il nostro albergo di Jodhpur aveva un dormitorio per gli autisti, dove dormiva anche il nostro.

valeva il viaggio: le pompe per l'acqua azionate dai motori delle apecar, che pescano l'acqua dal canale per lavare le moto ai bordi dell'autostrada.

domenica 19 novembre 2017

too much time

Ani, il nostro autista, dice che stiamo troppo tempo a Jodhpur, e che anche due notti a Pushkar saranno troppe. per lui è inimmaginabile che qualcuno voglia vedere qualcosa che non sia il forte, e che visto il forte non voglia andarsene subito. insomma noi, prendendocela comoda, lo facciamo lavorare poco, e non sono sicuro che gli faccia piacere. ieri uscendo dal mausoleo l'abbiamo trovato addormentato così profondamente che altri due autisti hanno aperto la macchina ridendo, lo hanno scosso, gli hanno fatto il solletico, e l'ho ancora dormiva. quando hanno smesso di ridere abbiamo iniziato a preoccuparci. poi finalmente si è mosso.
oggi l'abbiamo portato (ci ha portati lui, ma sembrava scontento della scelta) al palazzo del maharaja, che per mantenerlo ne ha dedicato una parte (piccola) a museo, una (grande) ad albergo di lusso (tanto di lusso che c'è una banda all'ingresso, che suona ogni volta che arriva un ospite, per dire) , e il resto a sua residenza personale. c'è anche l'esposizione delle sue auto d'epoca, che rende bene l'idea del decadimento: si inizia con una Rolls Royce Phantom I del 27, poi una Rolls Royce Phantom II del 35, poi una Cadillac del 42, una Packard del 45, per finire con una banale Mercedes S degli anni 80, beige. specchio dei tempi.
poi siamo andati ai giardini di Mandore, la vecchia capitale prima della fondazione di Jodhpur. sarebbero belli, se non fosse per la sporcizia, lo sfacelo, l'abbandono. negli stagni in mezzo ai fiori di loto bianchi, viola e rosa, ma galleggiavano bottiglie di plastica e spazzatura. eppure c'era gente in gita, ed erano contenti. l'India è cosi: è come se la bellezza andasse oltre la sporcizia e il degrado, e non ne sia toccata. la filosofia indiana riguarda la sostanza, l'idea di quello che si sta guardando, non l'apparenza. come nello yoga, conta il percorso verso la posizione, l'asana, non la posizione stessa. per questo bisogna imparare a guardare l'India con gli occhi degli indiani, non con i nostri. forse è qui il senso del viaggio, e noi non lo capiremo mai.

valeva il viaggio: l'autista che dice che guida da venticinque anni, ma al cenotafio reale in cima alla collina non c'era mai stato, non sapeva nemmeno che esistesse, e ci ha ringraziato per averlo portato li. era bello, silenzioso e antico, e probabilmente siamo stati gli unici visitatori della giornata.

sabato 18 novembre 2017

forte il forte

giorno nuovo, autista nuovo. questo è arrivato in nottata da Jaipur, è rimasto bloccato nel traffico ed era talmente assonnati che portandoci ad un bancomat abbiamo rischiato l'incidente due volte. per fortua il programma della giornata era di farci solo portare al mausoleo e al forte, così l'abbiamo lasciato libero di andare a dormire.
il forte è gigantesco e imponente, quando ci si entra sembra un normale palazzo, ma guardando la città dall'alto ci si accorge delle sue dimensioni.
oggi il tempo è pessimo, è nuvolo e con una nebbia di smog che prende la gola e gli occhi, peccato anche perché nasconde i colori e il panorama, che altrimenti sarebbe mozzafiato.
una dei luoghi più belli del forte è il giardino del chiaro di luna, che però è in una deviazione dal percorso di ingresso, e non lo visita nessuno. vi sono solo piante dai fiori bianchi e profumati, ma visto che siamo in India, c'è n'erano anche di gialli e di rossi. l'India funziona così.
valeva il viaggio: la passeggiata nei vicoli della città vecchia, dall'uscita secondaria del forte. non ci sono turisti, all'inizio è tranquilla e in mezzo a palazzi blu, e gradualmente diventa il gran casino del bazar mentre ci si avvicina al centro.

chauffeur

a colazione sul tetto dell'albergo (qui i ristoranti sono sempre sul tetto: dicono che sia per il panorama, ma in realtà è per allontanarsi dalla polvere e dal frastuono delle strade) sui tetti vicini c'era pieno di scimmie. erano diverse da quelle che abbiamo visto a elephanta, più grandi, con la coda lunghissima e la faccia nera. facevano anche meno casino.
è stata la prima giornata con l'autista. purtroppo con la sorpresa che non parlava neanche una parola d'inglese. in India è molto strano, l'inglese lo parlano malissimo ma lo parlano tutti. a causa delle difficoltà di comunicazione non siamo riusciti a fare deviazioni dal percorso stabilito, avremmo voluto vedere il forte di Khumbalgarh, che ha la seconda muraglia più grande al mondo, dopo quella cinese. pare che ci possano passare otto cavalli affiancati e per percorrerla tutta a piedi ci vogliano due giorni.
siamo invece passati dal tempio di Ranakhpur, dove a causa della legge che stabilisce che l'ingresso ai luoghi di culto debba essere gratuito per tutti, l'audioguida è obbligatoria e a pagamento. per fortuna è fatta molto bene e adesso sappiamo tutto sulla religione giainista. ma un primo passo verso il Nirvana.
per strada abbiamo incontrato i primi cammelli da tiro, che sono veramente giganti. i mezzi di trasporto qui sono i più disparati e non ci stupiamo più di niente.
all'arrivo a jodhpur l'autista si è rifiutato di portarci fino all'albergo, dicendo che le strade sono troppo strette. peccato che io ci fossi già stato, e sapessi che nel centro le macchine ci vanno, ma non c'è stato modo di convincerlo, né in inglese, né in italiano né a gesti.
in serata ho sentito il capo dell'agenzia, ha detto che ci avrebbe cambiato autista.
valeva il viaggio: le millequattrocentoquarantaquttro colonne del tempio di Ranakhpur, tutte istituire e ognuna diversa

mercoledì 15 novembre 2017

uccelli e non

a Mumbai ci sono pochi piccioni. in qualche piazza ci sono dei recinti, con strutture che sembrano piccoli templi, dove la gente sparge granaglie per i piccioni. e lì ce ne sono davvero tanti. poi ci sono tanti corvi, che hanno la funzione di spazzini.di tutta la spazzatura che si accumula ai bordi delle strade, la parte organica viene smaltita dai corvi, oltre che dai topi e dai cani. ma la maggior parte dai corvi. e comunque la spazzatura è sempre meno. rispetto a quattro anni fa la città è più pulita. poi ci sono i merli, che seguono sui prati le donne intente a strappare le erbacce con le mani. poi ci sono i falchi, che credo si nutrano di topi.
oggi siamo arrivati a Udaipur, e anche qui abbiamo visto parecchi falchi, ma più in forma, meno spennacchiati di quelli di Mumbai. sarà che c'è il lago, un po' più natura, l'aria buona. dal giardino pensile del palazzo del maharaja abbiamo sentito un verso che non abbiamo riconosciuto. più tardi, dal cortile di ingresso al palazzo abbiamo visto gruppi chiassosi di pappagalli (b. li chiama parrottini). erano verdi e rumorosi, come storni al tramonto. c'era anche qualche piccola rondine, a trovare rifugio tra le decorazioni del palazzo.
al tramonto siamo andati al gangaur ghat, in riva al lago. e abbiamo visto passare alcune formazioni di anatre, indecise sulla direzione da prendere.
poi altri falchi, ma no, sono più grandi, saranno aquile? ma no, volano in modo diverso, non planano e volano più in basso, guarda bene, sono giganteschi pipistrelli.
valeva il viaggio: la sit-com alla televisione all'aeroporto di Mumbai, uno schermo per ogni tabellone delle partenze.

martedì 14 novembre 2017

self tour

mezza giornata all'avventura in giro per le stazioni di Mumbai. raccapezzarsi tra i binari quando ci sono tre stazioni continue, con i numeri dei binari che non si parlano, non è semplice. e chiedere aiuto ai pochi indiani che non parlano inglese, non aiuta.
il dhobi ghat è una distesa di colori, siamo arrivati tardi e nessuno stava più lavando, ma i panni erano tutti stesi e il colpo d'occhio era notevole. come faranno a ritrovare tutti i panni una volta asciutti? cioè se io gli porto una maglietta blu, una rossa, e una verde, e loro mettono insieme tutti i rossi, tutti i verdi e tutti i blu, come fanno poi a ridarmi le mie tre magliette? è un mistero, come quello dei corrieri che portano le schiscette del pranzo, e non perdono un colpo.
del flower market, dopo diversi tentativi, troviamo solo le bancarelle che vendono le corone di fiori, e comunque son belle.
poi andiamo al tempio di mahalakshmi, dove la gente spinge le monete contro un muro, e se restano appiccicate, vuol dire che diventeranno ricchi, altrimenti cadono nella cassetta delle offerte. per entrare compriamo un fiore da offrire al tempio, e lasciamo le scarpe al venditore del fiore.
al museo c'è una mostra dell'India e il mondo, e tra il resto del mondo ci siamo noi. una mostra allestita molto bene, spiega la storia del mondo senza centrarla sulla cultura occidentale. Gesù come Ganesh, la Madonna come Parvati.
domani lasciamo mumbai per il rajastan.
valeva il viaggio: le corde con cui al dhobi ghat stendono i panni. sono due corde intrecciate, in modo che basta infilare un lembo di stoffa tra le due trecce, e il vestito resta appeso. con buona pace di chi poi lo dovrà stirare...

lunedì 13 novembre 2017

ritorno a mumbai

tornare a mumbai per la terza volta, a intervalli regolari di tre anni. la città è la stessa ma è cambiata, lentamente. se vivessi qui non me ne accorgerei. hanno aperto il nuovo terminal dell'aeroporto, sembra già vecchio come tutto qui, ma è molto bello come sa essere bella L'India. una bellezza abbandonata a se stessa.
anche la sopraelevata che su prende dall'aeroporto è nuova. sono poche centinaia di metri, ma fa saltare dharavi, ed è un peccato. il passaggio dal quell'inferno era per me un rito come il passaggio dello Stige. dimentica chi sei, ed entra a mumbai. ora la distesa di teli di plastica è sotto la sopraelevata, come lo sporco sotto il tappeto.
poi i taxi: le vecchie minuscole millecento non ci sono quasi più, sostituite da meno durature Suzuki maruti, vuote di storia ma piene di bozzi. saranno scomparse gradualmente, senza che nessuno se ne accorgesse. ma a me mancano.
stanno costruendo una nuova metropolitana. mi toccherà tornare tra altri tre anni a vedere come vanno i lavori.
prendo a prestito la chiusura...
valeva il viaggio: al duty free dell'aeroporto di Zurigo ho comprato un coltellino svizzero. così, dopo i controlli di sicurezza. sono salito in aereo con un coltello.