venerdì 22 novembre 2013

udaipur 2 (mai dire india)

dopo una notte passata con la testa nel cesso, e un giorno passato a riprendermi e ad aspettare l'appetito, sono andato a vedere udaipur.
mi sono promesso di dire solo cose belle per non sembrare sempre brontolone.
dalla terrazza dell'albergo la vista è splendida. il lago pichola (prende il nome da un paesino finito sott'acqua quando il maharaja, secoli fa, decise di costruire la diga per farsi il lago) disegna montagne e isole, ponti e palazzi perfetti per albe e tramonti. il palazzo reale visto dal lato opposto è maestoso, e l'illuminazione di notte lo riempie di fascino, sembra dorato. le cime dei monti, intorno, sono punteggiate di templi bianchi.
ho passato un'ora nel negozio di un tabacchino, a parlare con suo figlio che coltiva le piante aromatiche, e ne ricava le essenze per fare olii e bastoncini di incenso. sono ottimi, secondo me alcuni anche meglio di quelli di mysore. ci ho speso un capitale, ma credo che li valessero.
il tè al limone e zenzero con il miele è molto buono.
domani si parte. tra voli e attese saranno venticinque ore di viaggio. ci si vede a casa.

mercoledì 20 novembre 2013

udaipur 1 (erase and rewind)

un attacco di vomito da intossicazione a tre giorni dalla fine del mio ritorno solitario in india, con tanto di inside man in televisione, quadra alla perfezione il cerchio, non ti pare?
chaiyya chaiyya, chalo chalo.

lunedì 18 novembre 2013

jaisalmer 2 (alí babà e la serendipità)

stanotte viaggio in treno. sono riuscito ad avere una cuccetta in sleeper class, la stessa in cui avevo viaggiato due anni fa. ci sono esperienze che, fatte una seconda volta, sono molto meno traumatiche della prima. quasi rassicuranti. il bus e il treno in India sono tra queste.
ho il treno alle undici e mezzo di notte, quindi avevo tutta la giornata da passare in giro. troppo. ho un vantaggio rispetto a tutti i giovani viaggiatori che sto incontrando: ho uno stipendio. così mi sono concesso il lusso di tenere la stanza per un giorno in più, per non essere costretto ad alzarmi presto, a vagabondare tutto il giorno, a non avere un bagno mio in caso di bisogno.
così stamattina con calma ho deciso di fare un salto in stazione, per capire se il mio seater era diventato uno sleeper. convinto di poterci arrivare a piedi seguendo il GPS, ho ovviamente sbagliato strada, finendo dal lato opposto della ferrovia, dove la ghiaia viene caricata sui carri merci. praticamente uno scalo farini, infinitamente più grande e assolato. circondato da sterpaglie, con il solo rumore delle benne che scaricavanp ghiaia in una luce surreale.
quando ho deciso che non era il caso di insistere, dal nulla è spuntato un indiano con una bottiglia d'acqua, e parlando in indiano mi ha indicato un sentiero, l'ho seguito attraverso un guado, poi mi ha salutato e si è andato a nascondere nelle frasche. la bottiglia d'acqua era il suo bidet. in India non usano carta igienica.
uscendo dallo scalo mi son trovato tra cataste di pietra, massi enormi o lastre o schegge o semplici pietre. poi son comparse le gru, le seghe circolari, le seghe a nastro. i rumori, le persone. mi salutavano, stupiti della mia presenza. di sicuro ero il primo turista che sbucava dai cespugli nella zona dei tagliatori di pietra.
ho scoperto perché jaisalmer, la città d'oro, è così raffinatamente cesellata. alcuni palazzi sembrano ricoperti di merletto. da qui viene estratta un'arenaria color ocra, di grana finissima, facile da lavorare. gli scalpellini mi hanno chiamato, hanno voluto che li fotografassi, mi hanno mostrato i loro lavori più belli, mi han fatto vedere come riportano i disegni sulla pietra prima di scolpirla con martello e scalpello. mi hanno fatto vedere le pietre finite, in attesa di essere spedite a udaipur, e qualcuna addirittura in Italia.
sono andato in stazione in taxi, ed era perfettamente inutile andarci. ma se non l'avessi fatto non avrei scoperto qualcosa che non è su nessuna guida turistica.

nel pomeriggio sono andato da alí babà. è uno dei tanti negozianti del centro, vende i soliti vestiti colorati da hippie. mi ha fermato l'altro giorno, come tutti mi chiedeva di dov'ero, ma quando ha sentito Milano è scattato con una foga insolita, mi è corso dietro sventolando un biglietto da visita. dice di avere una fidanzata a Milano, lavora in una radio famosa. abbiamo chiacchierato, non ha cercato di vendermi niente, mi ha offerto un chai e mi ha raccontato della sua fidanzata italiana. così oggi son tornato, dovendo comprare delle cose è meglio da uno simpatico che da uno qualunque.
l'anno scorso gli è stato negato il visto per l'Italia, ci riproverà l'anno prossimo. ci siamo scambiati i numeri, ha voluto che scrivessi alla sua amica dal suo telefono, si è fatto una foto con il mio e l'abbiamo pubblicata su instagram. alla fine mi ha chiesto se potevo portare una cosa alla sua amica, voleva mandarle un regalo. mi si è acceso un campanello d'allarme ma ho lasciato fare, convinto che mi avrebbe dato una pashmina o altro di simile. invece mi ha lasciato solo in negozio ed è andato dal gioielliere a prendere due paia di orecchini d'argento. mi ha fatto tenerezza. chissà che storia hanno, ora son curioso di conoscere lei.

jaisalmer 1 (la fortezza bastiani)

jaisalmer è uno dei motivi per cui ho deciso di tornare in india, ed è il motivo per cui sono venuto in rajasthan. quando ho visto un'immagine del forte ho voluto sapere dov'era, e vederlo di persona. e il forte è davvero impressionante. non per le dimensioni, o per la ricchezza. perché è bello. è molto più piccolo di quello di jodhpur, e più antico. fu costruito novecento anni fa per presidiare la rotta carovaniera verso la persia e l'occidente, ed è da sempre l'ultimo avamposto verso il deserto del thar. questo ne fa un posto pieno di fascino. in più, il forte è tutt'ora abitato da tremila persone.
jaisalmer si è arricchita con i dazi sulle merci, e dopo la chiusura della frontiera con il pakistan, vive di turismo e della base militare. India e pakistan sono formalmente in guerra ed entrambe hanno l'atomica. solo che l'india è considerata uno stato affidabile perché ha promesso di usarla solo contro il pakistan, mentre il pakistan è considerato uno stato canaglia perché ha promesso di usarla solo contro l'india. fatto sta che in città ci sono molti militari (per niente sgarruppati, almeno all'aspetto: hanno divise e mezzi nuovi di pacca), e all'orizzonte si vedono centinaia di pale eoliche che danno corrente alla base e alla linea di confine, completamente recintata e illuminata. qui non scherzano.
sarà perché arrivavo dalla fiera di pushkar, o perché sono arrivato alle sette del mattino, ma jaisalmer mi ha dato subito l'impressione di una città tranquilla. è difficile c'è qualcuno dia noia chiedendo o offrendo, la gente chiacchiera volentieri e mi dispiace essere diventato un po' sospettoso dopo l'assillo di pushkar. solo sulla collina di fronte, dove sono andato per vedere il forte al tramonto, sono stato assalito da venditori: ma è normale, il colle è nella zona più povera della città, e un assembramento così fitto di turisti è un'occasione per fare affari (e anche qualche furto, ci hanno provato ma mi è andata bene)
il forte è splendido. conservato benissimo, ha ancora l'aria di fortezza antica, e i vicoli strettissimi all'interno formano un dedalo colorato di stoffe, in cui perdersi tra templi minuscoli e maestose haveli. bisogna solo fare attenzione a fermarsi per guardare in alto gli splendidi palazzi istoriati, e a guardare dove si mettono i piedi quando si cammina.
sotto il forte c'è il laghetto, che in teoria sarebbe sacro, e infatti è circondato da templi, ma la gente ci va in barca e dà da mangiare ad enormi pesci gatto. però è un posto rilassante e di una bellezza straordinaria. con due francesi ci siamo avventurati fino al tempio sulla penisola di fronte all'ingresso, dove stavano preparando i lumini per la cerimonia della sera.
continuo a chiedermi quale sia l'india vera, se quella chiassosa dei bazar, quella dignitosa della povertà o quella meditativa dei templi. sono così in contrasto tra loro che è difficile accettare che sia tutte e tre, e che tutte abbiano bisogno delle altre due per esistere.

sabato 16 novembre 2013

pushkar 3 (il tappeto volante)

i momenti più belli di pushkar sono l'alba e il tramonto. dell'alba non so niente perché non l'ho mai vista, i tramonti li ho visti tutti. al tramonto ci sono ancora fedeli che fanno il bagno, già altri accendono lumini galleggianti, un tizio suona i tamburi, dagli altoparlanti escono i mantra a tutto volume, i turisti si raccolgono ai ghat a vedere il sole che scivola al di là delle dune, a violentare altre notti come diceva de André, e i suoi riflessi sull'acqua e sul celeste dei templi. i baba si raccolgono in gruppi, negli angoli meno trafficati delle piazze, e si preparano a dormire. è un momento di pace. perfino le mucche si siedono e ruminano sulla giornata trascorsa, mentre le scimmie ripuliscono gli ultimi avanzi di cibo. stranamente, sempre alla stessa ora, un gruppo di oche attraversa il lago e va ad appostarsi vicino al ponte.
la fiera sembra non esistere, da qui. il trambusto, le urla, la polvere non arrivano al lago. restano là gli ammestratori di scimmie, i cammelli imbizzarriti, i maestosi cavalli albini. anche il venditore che mi ha venduto due coperte per il viaggio, è là che si frega le mani per l'affare, non ho praticamente trattato, gli ho solo fatto aggiungere una coperta al prezzo di partenza di una sola. ha vinto lui stavolta. un ragazzo che cercava di vendermi braccialetti intarsiati mi ha detto che quest'anno la fiera va male, lui è venuto apposta da Delhi e ha finito i soldi, domani torna a casa in anticipo sulla chiusura della fiera. c'è poca gente, pochi turisti, e ormai la fiera è diventata un baraccone, non è più il ritrovo e il mercato dei cammellieri come una volta.
anche i lottatori sono rimasti là, rotolati nella rena. anche i giocatori di palla prigioniera e i venditori di zucchero filato rosa e i nitriti nervosi dei cavalli neri con una stella bianca sulla fronte. qui al lago sacro c'è solo la quiete e i pink floyd.
per me è stato l'ultimo momento di calma in attesa di prendere il bus. all'appuntamento dell'agenzia ci sono altri turisti e questo mi conforta, sia per la compagnia sia perchè vuol dire che il bus c'è davvero, non si sa mai. ci sono un inglese, un'americana, una coreana, un'israeliana e due tedeschi, ma nessuno racconta barzellette. solo elenchi di posti già visitati o da visitare. l'inglese è in giro per il mondo da agosto, gli altri sono tutti studenti. per fortuna in inglese non esiste il lei.
l'autobus è il solito semi-sleeper, con una doppia fila di poltrone reclinabili, e due ordini di cuccette singole da un lato, e doppie dall'altro. nella cuccetta ci sto a malapena, è più corta di me e larga come le mie spalle o poco più. chiacchiero un po' ma crolliamo tutti presto, star su è troppo scomodo e il bus oscilla e fa venire nausea, meglio sdraiarsi.
salendo avevo chiesto quante fermate avremmo fatto, mi hanno fatto segno quattro con la mano. evidentemente intendevano quaranta. a ogni sosta le urla dei carovanieri, scortesi come sempre, dei passeggeri in salita e in discesa. il clacson del bus, che l'autista usa copiosamente, è un campionario di suonerie da cellulare amplificato, e a lui piace molto sentirle tutte ogni volta che ne ha l'occasione.
a una sosta più lunga e rumorosa delle altre apro il vetro fumé della cuccetta e guardo in corridoio, è tutto cosparso di fagotti. uno si muove, sono persone che dormono. gli indiani sono incredibili, a forza di Shanti si adattano a qualunque cosa. qualcuno dorme seduto per terra con una coperta sulla testa, perché non ha spazio per sdraiarsi. metto via il mio senso di colpa, chiudo e mi riaddormento sentendomi improvvisamente comodo.
insomma, dormo a tratte di mezz'ora, un'ora al massimo. ogni tanto controllo sul GPS dove siamo, giusto per la curiosità.
arriviamo puntuali a jaisalmer. alla fermata che poi è un benzinaio c'è un'auto dell'albergo ad aspettare me e un'altra ragazza, ci sembra un lusso dopo tutto quel trambusto.
sono le sette del mattino, e mi hanno già dato una stanza. ora si dorme.

mercoledì 13 novembre 2013

pushkar 2 (alla fiera dell'est)

ok ok la smetto di lamentarmi dei turisti, tanto ormai s'è capito. che poi passo per il solito brontolone asociale. però... no ok ho detto basta.
allora vado alla ricerca di segnali di India vera. torno ai ghat, allo stesso di ieri perché è facilmente raggiungibile senza attraversare un tempio, perché è all'ombra, e perché è di fronte a quelli dove c'è la folla che fa il bagno rituale. anche qui c'è qualcuno che si bagna, ma pochi. le donne son buffe: fanno il bagno vestite, poi escono e si spogliano senza problemi per cambiarsi. lo fanno in gruppo e cantando, e formano dei gruppi di rossi, gialli, arancioni e viola, sembrano fiori. dove si bagnano le donne ci sono poliziotti che controllano che nessuno faccia foto. il poliziotti in India non girano armati. ho visto armi solo in mano all'esercito, e solo poche volte nonostante qui abbiano molta paura di attentati. il poliziotti invece hanno il bastoni, o di bambù o di plastica trasparente con un rinforzo in cima. sono lunghi un metro, e non fanno meno paura di un mitra.
ah e poi hanno il fischietto. gli piace molto.
sono tornato dal mio pasticcere indo-tedesco-vegano, che mi ha accolto gioviale e mi ha fatto assaggiare un cinnamon roll, buoniasimo. ho incontrato il tizio che ieri mi ha fatto la benedizione ma poi voleva solo euro, non gli andavano bene le rupie. mi ha guardato malissimo e mi ha detto in italiano "mi capisci?" evidentemente no.
dopo pranzo (di cui non posso dire nulla per la promessa del primo paragrafo), schivando un gruppo di travestiti in saree che cantavano e ballavano e si facevano scacciare dai commercianti a suon di rupie, sono andato finalmente alla camel fair.
è l'evento dell'anno. l'autista di ieri diceva che la polizia sequestra le macchine perché non ne ha abbastanza per la fiera, per questo aveva allungato il giro passando il stradine minuscole di ajmer: al suo boss hanno già sequestrato due delle sue cinque macchine, e perderne un'altra proprio quando c'è lavoro sarebbe un disastro. la gran folla che c'è di solito aumenta per la fiera, ed è l'unico posto dove il turisti si diluiscono fino a diventare quasi invisibili.
uomini con enormi turbanti colorati, donne con sari dai bordi d'oro e monili in oro dal naso alle orecchie, cavalli arabi scattanti, cammelli enormi. sembra un vero caravanserraglio, dà l'impressione di essere rimasto identico dai tempi della via della seta. ci sono il venditori di forconi, il battitori del ferro, il giostrai, il venditori di finimenti per cammelli e per cavalli, rigorosamente separati, le venditrici di canna da zucchero. allo stadio (c'è uno stadio enorme, saranno due campi da calcio) ci sono i cammelli su cui passeggiare, e in un angolo si tiene una partita di uno sport di cui non so il nome. sembra una specie di palla prigioniera, ma senza palla. viene preso molto sul serio dal pubblico fremente, dagli arbitri impettiti e dai giocatori con le divise nuove per l'occasione, si vede dai segni della stiratura. mi fermo a guardare abbastanza a lungo per capire le regole del gioco (se vi annoiano potete distrarvi leggendo qui: http://gossip.excite.it/michela-rocco-di-torrepadula-smaschera-lex-marito-enrico-mentana-a-venezia-con-unaltra-io-a-casa-a-lavare-i-piatti-N144361.html) : il campo è diviso in due parti, in cui stanno le due squadre. a turno, un giocatore di una squadra entra nel campo avversario e cerca di toccare un giocatore e di tornare nella propria metà senza essere bloccato. se ci riesce, il giocatore avversario che è stato toccato esce dal gioco, se non ci riesce e viene bloccato, esce lui. quando tutti il giocatori di una squadra sono fuori, succede qualcosa (tipo fanno un punto) e si ricomincia daccapo. il gioco finisce quando mi stufo e me ne vado.
dietro le bancarelle, che sono simili alle rende berbere, c'è un'enorme distesa piena di cammelli. pare che le vere contrattazioni per la compracendita di cammelli ci siano già state,ma assisto a un paio di trattative per i cavalli, e sono ancora con i due contraenti, due testimoni, e un braccio sulla spalla dell'altro a sussurrarsi il prezzi. chissà se si danno anche la stretta di mano con lo sputo, come una volta da noi per le vacche.
la fiera è inebriante, originale, autentica, colorata, chiassosa.  mi diverte. domani ci tornerò, ho già visto quel che c'è da vedere, ma ho visto sul programma che c'è la gara a chi arrotola più in fretta il turbante. non me la voglio perdere.

martedì 12 novembre 2013

pushkar 1 (baba, occhiali da sole e canne)

l'albergo mi ha prenotato il pullman per ajmer, la città più vicina a pushkar, tappa obbligata per arrivarci. costa solo 200 rupie, e un po' mi insospettisce perché  è un viaggio di cinque ore, saremo in India ma due euro e quaranta mi sembrano poco. la partenza è alle sette e per sicurezza alle sei e un quarto sono già sul tuc-tuc che mi porta alla fermata. in realtà è l'ufficetto dell'agenzia dei pullman, e ha le luci accese, mi conforta. forse sarà più facile della partenza da mumbai due anni fa. dopo di me arrivano altre persone, una famiglia (qui quando sono in tanti sono una famiglia) con un bambino piccolo. è buio, la città è stranamente silenziosa. ogni tanto passa un pullman e scarica qualcuno che si unisce al gruppo. cerco di chiacchierare con il padre del bambino, che avrà venticinque anni, ma parla solo gujarati, mi chiede se parlo hindi ma tanto non lo parla nemmeno lui. mi chiede dove vado, mi mostra sulla mappa del telefono dove vanno loro. sembra tutto rallentato. accanto a noi, per terra, c'è un fagotto con dentro qualcuno che dorme. improvvisamente tutto si anima: arriva il capo dell'agenzia, sorge il sole, la famiglia viene caricata a forza su un tuc-tuc di quelli a sei posti, compare del chai, una cagna cerca da mangiare. poi più niente. il tempo rallenta ancora. tengo d'occhio il responsabile, che ora son diventati tre, perché le sette son passate e il pullman non si vede. improvvisamente si rianomano, mi urlano ticket! ticket!, si avvicina un pullman, e senza nemmeno farlo fermare del tutto mi caricano di peso.
il pullman è mezzo sleeper e mezzo seated. significa che da un lato ci sono il letti, e dall'altro il sedili. sopra il sedili, altri letti. vedendomi indeciso (dovrei avere il posto n. 11 ma non vedo numeri) mi indicano i sedili e mi sistemo a caso. sono spaziosi, davanti al mio sedile c'è posto per lo zaino e per le mie gambe. fa freddo, metto il maglione, dormo.
il viaggio è infinito, ci sono un sacco di fermate e continuamente salgono e scendono persone. inutile dire c'è sono l'unico non indiano, ma nessuno ci fa caso. solo un ragazzo si siede vicino a me e fa le solite domande, teniamo d'occhio insieme il GPS.
lo tengo acceso perché le fermate vengono annunciate con urla incomprensibili, e capisco che dovrò scendere di corsa, meglio tenermi pronto.
a una fermata più lunga sale un tizio con un vassoio di ferro e sopra delle cose fritte. le riconosco, ci sono i peperoni piccanti farciti di garam masala, buonissimi ma troppo piccanti, e le polpette di ceci farcite, prendo una di quelle. è calda e buona, per colazione ci voleva.
vicino ad ajmer tengo acceso il GPS, chiedo ai quattro che stanno in cabina (il guidatore qui è separato dai passeggeri) se la fermata ad ajmer è in centro, loro non capiscono e mi rispondono di sì. ovviamente mi lasciano fuori città, in mezzo al niente dove vengo preso d'assalto dai tuc-tuc.
non gli voglio dare la soddisfazione di rapirmi fino a pushkar, e contratto un prezzo folle (250 rupie, tre euro) per portarmi alla stazione, dove spero di trovare il pullman per pushkar. trovo di meglio: una coppia di turisti sui settanta nel momento in cui trovano l'autista mandato dal loro albergo. mi faccio avanti al volo, saluto mi presento e scrocco un passaggio. scrocco per modo di dire, perché di sicuro mi farà pagare. ma almeno faccio due chiacchiere, sono australiani, e viaggio comodo su un SUV sette posti.
pushkar è l'estremo dell'India turistica. vive intorno a un lago sacro circondato da cinquantadue ghat, le discese verso l'acqua, e un'infinità di templi, alcuni minuscoli. le vie intorno sono un enorme bazar per turisti. tutti gli indiani presenti sono commercianti.
poi ci sono i baba, i santoni. girano per la città a gruppetti, con solo un bastone, un telo, un turbante e una coperta. non hanno l'aria mistica, ma vengono salutati con rispetto dagli indiani e osservati con curiosità dai turisti. sembrano non accorgersi di quello che gli accade intorno.
come sempre, passeggio a vuoto per orientarmi. passo il ponte,  scalzo come vuole la regola, e mi sentp chiamare. c'è un gruppetto di baba, seduti per terra davanti a un ghat, mi invitano a sedermi con loro. gli appassionati di terzani mi invidieranno, penso mentre mi siedo. mi salutano, mi stringono la mano, mi chiedono da dove vengo (sonia gandhi, sì), mi chiedono se ho sigarette, uno prende il miei occhiali da sole, li indossa, tutti applaudono, lui dice che è un regalo per il baba. sorrido, yes, per fortuna valgono poco, ne comprerò altri.
poi trovano la sigaretta, gli serviva per la canna. riempiono un cilum piccolino, ma dal profumo è bello potente. temo che si offendano, invece il mio rifiuto non gli interessa. dicono va bene, fai bene perché sei italiano, ma noi siamo baba e fumiamo ganja. fanno due tiri a testa al massimo, a giudicare dall'occhio immediatamente acquoso, quella roba dev'essere davvero forte.
quando smettono di parlare inglese li saluto, mi ridanno gli occhiali (io non ho bisogno, il miei occhi guardano il sole, dice) e continuo il giro.
tra due templi, in un vicolo deserto, vedo un banchetto di dolci. senza nemmeno notare l'insegna, noto un rotolo che sembra putizza. possibile? chiedo, il tipo dice che è tutto vegano, senza latte né uiva né  burro. verifico che non ci siano noci, e assaggio. meraviglia. buonissimo. non è putizza. ma l'impasto è simile e il ripieno anche, con in più un vago sapore di cocco. chiacchiero con il tizio, alzo gli occhi e vedo: german bakery since 1986.
il ristoranti sono italiani, tedeschi, israeliani. qualcuno fa anche cibo indiano, quasi tutti fanno la pizza.
benvenuto in India, quella vera.

domenica 10 novembre 2013

jodhpur 2

dicono che sia la città blu, delle pietre e dell'argento. ieri avevo visto solo sterco di vacca e paccottiglia. oggi ho dedicato la giornata alla visita del forte, e mi son ricreduto. il concierge (parla perfettamente inglese francese tedesco, è rasato a zero e ha l'orecchino, quindi merita il titolo) era molto stupito che oggi volessi vedere solo il forte. qui sono abituati a gente che arriva, vede il forte, dorme e riparte. io che mi fermo tre notti sono uno strano.

continuando il discorso di ieri sui turisti, c'è solo una categoria peggiore dei turisti occidentali: il turisti indiani. si muovono a mandrie, composte o da una singola famiglia (di almeno 10 persone) o di interi villaggi, e in tal caso si identificano facilmente perché hanno tutti lo stesso cappellino, come un bambini delle elementari in gita.
in ogni caso, occupano completamente lo spazio. vedere in una stanza di museo con loro è impossibile. stai guardando un dipinto, e loro sgomitano per starti davanti, ti spingono indietro fisicamente! aspetti il tuo turno per affacciarti alla soglia della sala del trono, e loro non se ne vanno più. stai per scattare una foto, e ti si mettono davanti. non uno, eh tutti!
leggi un pannello esplicativo sui diversi tipi di sciabole, e loro si mettono a darsi le sciabolate davanti a te... e la parte più molesta è quando il capogruppo decide che è il momento di andarsene, e non si limita a urlare chalo! chalo!, ma cava di tasca il fischietto e fischia un rigore! un fischietto! in un museo! transumano nella stanza successiva dopo aver avuto il tempo di fotografare tutto, e di vedere niente. cerco di approfittare dei pochi secondi di pace prima dell'arrivo della prossima comitiva.

il palazzo del maharaja è notevole, enorme e intarsiato come una torta di panna. pavimenti di marmo bianco e muri lucidati a pietra, baldacchini e portantine in argento e oro, cuscini e specchi ovunque. il palazzo è in ottimo stato, e una parte è abitata dai discendenti dell'ultimo maharaja, che ancora oggi mantiene il discendenti di un uomo fatto murare vivo nelle fondamenta per buon auspicio, nel 1400. affacciandomi ai bastioni penso che allora anche la vista della città dev'essere identica a com'era nei secoli scorsi, tranne (forse) i clacson dei tuc-tuc e le poche antenne satellitari.
vista dall'alto jodhpur è davvero blu. sembra quasi bella dall'alto. forse è questo il senso dei moderni grattacieli di mumbai: stare lontani dalla povertà che c'è sotto, per sentirsi ricchi e pensare che la città sia più bella della realtà.

sabato 9 novembre 2013

jodhpur 1 (il principio di Heisenberg)

atterriamo a jodhpur dopo un'ora passata a girare in tondo, come se i piloti si fossero persi l'aeroporto. che poi non è altro che una zona recintata all'interno di una base militare, per cui siamo scrsi dall'aereo circondati da soldati con mitra spianato. sorridevano, ma faceva comunque impressione.
jodhpur è piccola, ma contiene lo stesso casino di Chennai, che così compresso diventa frenetico. tutti suonano il clacson a tutti, i venditori del mercato urlano, i clienti urlano, i cani abbaiano, i bambini piangono, solo le mucche, imperturbabili, stanno ferme in mezzo alla strada e ci pensano su.
la novità, per me, sono i turisti. a mumbai era facile evitarli, bastava uscire da colaba, e c'era una città si tredici milioni di persone ad attendermi. qui ci sono i gruppi dei tour organizzati, riconoscibili perché sembrano in pullman anche quando sono a piedi: in fila per quattro e con la guida davanti. quando si fermano si mettono a testuggine romana, e si difendono con le macchine fotografiche dall'assalto dei venditori.
mi allontano dal centro per non confondermi con loro, cammino fino ai giardini, un posto di pace dove il ragazzi giocano a cricket (con molta meno convinzione che a mumbai) e gli anziani a carte, e rientro facendo la via degli artigiani. un lustrascarpe mi chiede se mi sono perso. una mucca attraversa la strada lentamente, come pensandoci su.
tornando verso l'albergo vengo circondato da bambini che vogliono essere fotografati, e avvicinandomi al centro ecco che ritrovo il venditori di souvenir e di paccottiglia. è questo che fa si che io non voglia essere confuso con i gruppi organizzati, la considerazione che questo centro bellissimo, con il mercato antico e vivo, ogni volta che lo si osserva da turisti se ne fa morire un pezzo, ci sarà una bancarella che invece che vendere frutta o pentole come ha fatto per generazioni, venderà bracciali made in china, o braghe per ragazzine occidentali che pensano di vestirsi come in India (ma nessuno si veste così qui).
torno in albergo, a cenare sotto la vista impressionante del forte,  lasciando le mucche a pensarci su. 

mumbai 6bis (il cricket, il sesso e tutto quanto)

visto che devo aspettare il volo, cerco di ricordare cosa avevo scritto ieri sera. detesto riscrivere, anche perché questo blog è sì un modo per aggiornare lammamma e gli amici, ma soprattutto un modo mio per ticordare di più dei viaggi. quindi una volta scritto libero la memoria, se poi perdo Il post sono cazzi.
comunque ho dovuto cambiare albergo perché quello dei giorni scorsi non aveva più posto, e ne ho trovato uno vicino all'aeroporto. visto che sono quasi due ore di taxi, meglio farsele la sera con calma che la mattina con l'ansia, mi sono detto.
calma un corno: il tassista l'ho scelto perché è il primo che ho trovato, e anche perché era un anziano musulmano con la faccia simpatica e gli occhi vispi dietro gli occhialetti (i musulmani hanno una guida meno aggressiva degli indù se non siete di fretta preferiteli). traffico micidiale come sempre, ovviamente non conosceva la strada ma l'ho fatto arrivare in zona, mentre per sicurezza controllavo dove eravamo sul GPS. il tassista è sceso quattro volte a chiedeee indicazioni con il mio taccuino in mano, e ogni volta tornava ridendo. alla fine siamo arrivati a destinazione (di fronte a McDonald's, dopo tal edificio, dietro tal ristorante era l'indirizzo esatto). una topaia buona solo perché è vicina all'aeroporto. il tassista era simpatico e si è sbattuto, così gli ho dato una mancia che era la metà del prezzo della corsa. ah, a proposito: guidava come un pazzo.

del cricket volevo dire che l'altro giorno, mentre ero all'oval maidan a guardare venti partite, si è seduto accanto a me un ragazzo e abbiamo chiacchierato un po'. mi ha fatto le solite domande, fino al perché non sono sposato, e se ho mai "rejoiced" del sesso fuori dal matrimonio. l'ho scandalizzato (sì mamma) e quando mi ha chiesto quante volte e gli ho risposto chiedendogli se voleva sapere quante volte o con quante donne, perché le volte non ero in grado di contarle (sì, mamma) ha quasi avuto un infarto. lui si è appena diplomato al college, e l'anno prossimo si sposerà, e ovviamente è vergine. però si rifarà,perche è musulmano e qui in India potrà avere fino a quattro mogli.
mi ha dato una lezione di vita su perché è giusto c'è un uomo abbia più mogli (un uomo ha bisogno di essere soddisfatto) e perché le donne non devono avere più mariti (come si fa a sapere qual è il padre dei figli, poi?), e soprattutto mi ha esortato calorosamente a prendermi cura di mia sorella appena rientro, perché questa situazione è insostenibile! non è possibile che non abbia un marito! devo assolutamente fare qualcosa e riportarla sulla retta via per il bene della famiglia e per salvare il mio onore!
per fortuna in tutto questo è arrivato il suo amico, c'è lo prendeva in giro ad ogni frase.
mi sono divertito un sacco. mamma e sorella, quando torno facciamo i conti!

venerdì 8 novembre 2013

mumbai 6 (il cricket)

porca miseria avevo scritto un post bellissimo e si è cancellato!

accontentatevi:
http://it.m.wikipedia.org/wiki/Cricket

giovedì 7 novembre 2013

mumbai 5 (sulle tracce di shantaram)

e così ieri sera sono tornato al leopold's. c'ero già stato più volte due anni fa. ma ho deciso di mangiare carne ogni tanto per tenermi in piedi, e un po' di folklore turistico ogni tanto fa bene. oltretutto è un locale storico, è centrale nell'unico libro che sto leggendo quest'anno, ed è di fronte alla centrale di polizia di colaba. mi sono guardato intorno cercando tracce dei traffici di shantaram, di facce che ricordassero quei personaggi, ma non ne ho trovati. solo fuori, in due mi hanno offerto del fumo, ma senza convinzione. molti turisti, molti indiani wannabeamerican, solo un paio sembravano abbastanza fuori posto da essere, probabilmente, a casa loro. mi rimane la curiosità di andare a vedere il piano di sopra, avvolto in un'aura di mistero, con quella porticina sempre presidiata da un buttafuori. femmina, per l'occasione.
non sono l'unico turista solitario, ma mi faccio un punto d'onore di mangiare più lentamente, di sentirmi più a mio agio degli altri due. uno è il tipico americano wannabeindian, vestito come un santone (nessun indiano veste così, il santoni vanno in giro nudi o con la loro gonnella), barba lunga e fare spaccone. sembra conosca tutti il piatti, ma riesce a sbagliare ordine e gli portano qualcosa di diverso da ciò che si aspettava. io col mio chicken tikka masala sandwich sono stracontento. nel mio piccolo. lui va via, io mi godo il mio riposo.
oggi, sempre in tema shantaram, sono andato alla centrale di polizia, proprio di fronte. proprio quella dove venne arrestato.
mi stupisco della mancanza di controlli: per entrare in qualunque edificio vengo fatto passare nel metal detector, perquisito e mi viene aperto lo zainetto. qui entro senza che nessuno mi chieda nemmeno dove vado.
trovo un ufficio con dei poliziotti che sembrano occupatissimi a far niente (altro che napoli, l'ammuina l'hanno inventata qui), entro e mi fanno accomodare alla scrivania del poliziotto figo e in borghese tipo bollywood star. è chiaramente quello che fa carriera e che suscita il rispetto e l'invidia dei colleghi. mi fa portare un pezzo di carta e mi detta la denuncia, che io scrivo con cura. poi la passa a uno dei poliziotti in divisa e mi interroga. da dove vengo, che altri paesi ho visitato,  dove andrò dopo, quali città visiterò in rajastan, in che albergo abito, quanto pago la stanza, dov'è la mia famiglia, perché non sono sposato, che lavoro faccio, quanto guadagno. qui abbiamo un problema. lui che si sente molto figo guadagna 40.000 rupie. sono 500 euro. gli sembra impossibile che io guadagni così tanto più di lui, devo assolutamente aver sbagliato la conversione. gli spiego c'è la vita a milano costa molto di più che a mumbai, che metà del mio stipendio va in mutuo, e si tranquillizza.
poi mi manda in un'altra stanza con un poliziottino in divisa che non parla inglese, e che copia il miei dati dal passaporto su un registro, con una calligrafia che ricorda il caratteri hindi. molto elegante, ma non si capisce una mazza.
si fa ripetere tre volte il numero della carta, riscrive la dichiarazione sul registro, e mentre si arrabatta con la scrittura entra un altro poliziotto (saranno sei nella stanza, tutti a fare ammuina) con una pila di bicchierini e un sacchetto di plastica pieno di un liquido beige. è l'ora del chai, che qui è ogni 50 minuti. ridono quando capiscono che so cos'è il chai, e me lo offrono. non-si-rifiuta-il-chai-da-un-poliziotto, mi ripeto mentalmente. mi preparo a una diarrea epocale, e sorseggio con loro. è pure buono, caspita.
alla fine mi danno un foglietto che certifica "to whom so ever it may concern" che ho denunciato la scomparsa della carta di credito. inutile, ma qui, al check-in, vogliono vedere la carta con cui hai pagato il biglietto.
prima di uscire il poliziotto simpatico, quello del  chai che rideva sempre, mi si avvicina e mi ciede sottovoce quanto ho pagato la sim indiana. gli dico 1800, e mi fa segno dei soldi con la mano, indicando se stesso e lo scrivano. capisco al volo e gli chiedo quanto. 200. ho corrotto due poliziotti con due euro e quaranta, perché facessero il loro lavoro. sono uscito ridendo.

martedì 5 novembre 2013

mumbai 4 (sopravvivere a mumbai)

1. come attraversare la strada
lasciate perdere i semafori, sono un'istigazione al suicidio. il guidatori indiani - soprattutto il tassisti - se ne fregano dei semafori, a meno che non ci siano almeno quattro poliziotti di guardia all'incrocio. e anche in quel caso si fermano ben oltre le (labili) strisce pedonali. per attraversare incollatevi ad un indiano che deve attraversare, standogli sottovento. quando lui va, voi andate. in mancanza di un indiano, guardate le macchine che vanno nella vostra stessa direzione. è probabile,  anche se non certo, che quando c'è traffico dall'altra parte gli automobilisti si fermino. tutto ciò è assolutamente indipendente dal colore del semaforo, per cui cercate di attraversare più in fretta possibile

2. i venditori
essendo evidentemente non indiani, e quindi turisti, e quindi pieni di soldi, e quindi bambascioni, i venditori non vi daranno tregua. anche chi attacca bottone dicendo che non vuole denaro, alla fine ve ne chiederà, o cercherà di vendervi qualcosa. a meno che non abbiate intenzione di comprare, o di essere munifici, non fatevi problemi a essere un po' rudi. il no non basta. fare finta di niente non basta. l'unica cosa che funziona è il gesto con la mano, tipo sciò! preferibilmente con la sinistra. quello di solito funziona, anche se fanno la faccia offesa. attenzione a non farlo per sbaglio,  tipo a un cameriere. il nostro gesto "tutto bene", fatto con la mano aperta con il palmo verso il basso e mossa in orizzontale, per loro significa "vattene". è un po' rude, ma eviterete anche a loro una perdita di tempo con voi. 

3. il cibo
a mumbai e nel sud dell'India il cibo è essenzialmente vegetariano. troverete qualche ristorante "non veg", ma sono pochi e costano di più. quelli più tradizionali sono "pure veg", evitate di chiedere il chicken biryani... il piatti a base di riso (pulao,  biryani,  thali) riempiono molto e nutrono poco,  anche se sono saporiti. soprattutto sentirete presto la mancanza di vitamine. per questo,  oltre a ricorrere ad un integratore, non disdegnate il pezzetti di lime che vi offrono a fine pasto, né i semi di anice, che sono un potente anti-fermentazione (contro le puzzette,  sì). gli indiani mangiano molta frutta durante il giorno, per questo non ne troverete nei ristoranti, ma nelle bancarelle per strada. la frutta è buonissima, molto più che in Italia. scoprirete il vero sapore delle banane, del mango, e di un frutto stranissimo che sembra un carciofo, ma ha una polpa deliziosa che ricorda il sapore della vaniglia.
la migliore bevanda è il latte di cocco. la palma è alta, e le sue fibre sono un ottimo depuratore. fatevi spaccare una noce di cocco da un venditore per strada, e bevetene il succo (rifiutate la  cannuccia). è la bevanda più sana e dissetante che potete trovare.
se vi viene voglia di carne e cedete alla tentazione dei ristoranti all'occidentale, evitate il manzo. in tutta l'India macelleranno si e no dieci mucche all'anno, non mi sembra una buona idea fidarsene. meglio il pollo, che qui è più sano che da noi.

4. la gente
gli indiani sono tanti. tantissimi. sono abituati a stare vicini tra loro. non abbiate paura a camminare nella folla per strada, per loro è normale spintonarsi un po'. se nella calca vedete uno spazio libero, non andateci tirando un sospiro di sollievo, se è vuoto c'è probabilmente un motivo valido. vi piomberá addosso un pullman, o uno stormo di cornacchie vi cagherà in testa. gli indiani ne sanno, fate come loro.

varie
gli uomini sputano. masticano sacchettini riempiti di spezie da venditori di strada, salivano come cammelli e fanno certi sputi da mezzo litro che oltre a fare schifo,  probabilmente sono indelebili. se vedete un uomo che si inclina in avanti, passategli dietro: sta per sputare.

non credetevi furbi a contrattare il prezzo coi tassisti, come dice la guida. siate inflessibili e fategli usare il "meter", il tassametro. diteglielo prima di salire. se rifiuta, prendete un altro taxi. spenderete meno della metà rispetto al prezzo trattato. ma siate abbondanti con la mancia.

altro consiglio per i taxi: scrivere l'indirizzo dove dovete andare su un foglietto è inutile, sono quasi tutti analfabeti, e non conoscono il nomi delle vie. anche le mappe servono a poco, non le sanno leggere.
piuttosto guardate su guglmaps se c'è un punto di riferimento vicino (un ospedale, un tempio o una stazione) e ditegli quello. quando saranno in zona chiederanno aiuto a un passante, che saprà leggere e conoscerà la via. quindi fatelo, quel bigliettino.
p.s. scaricate la mappa offline sul telefono, è comodo.

se vi sedete da qualche parte per un po', tipo a riposarvi all'oval maidan guardando le partite di cricket, qualcuno si siederà vicino a voi e vi chiederà, nell'ordine: da dove venite (what's your good country, sir?), che lavoro fate (business), dov'è la vostra famiglia,  in che albergo alloggiate, quanto pagate la stanza e se vi piace l'india. poi vi ricorderà che Sonia Gandhi è italiana, vi saluterà gentilmente e andrà via felice. è solo inoffensiva curiosità, approfittatene per restituirla e fare le vostre domande. e trovare il coraggio di darvi delle risposte.

se improvvisamente vi trovate in un posto dove ci sono più di due turisti occidentali oltre a voi, avete sbagliato posto. siete in India, state con gli indiani, cribbio!

un'ultima considerazione: a mumbai non esiste il suono delle sirene, né della polizia né delle ambulanze. qualunque cosa significhi, fateci caso.

*questo post verrà integrato con eventuali nuovi consigli

mumbai 3 (il purgatorio è caldo, l'inferno è gelato)

sto finalmente cominciando ad ambientarmi. la scelta di passare un'intera settimana a mumbai sembra rivelarsi giusta: mi permette di ambientarmi lentamente, senza aggiungere il pensiero degli spostamenti al caldo al cibo, alla gente, alla solitudine e tutto quanto.
mumbai si sta rivelando come il mio purgatorio per entrare in India. mi rallenta i tempi e il metabolismo. mi allunga le giornate, mi fa aspettare la lentezza del tempo. e mi sta facendo sudare l'impossibile. la fronte mi si è ancora coperta di minuscoli brufoli da sudore,  li elimino passandoci sopra l'unghia dell'Indice: tac tac tac! significa che sto buttando fuori tossine.
il cibo qui è inutile e buono allo stesso tempo. essenzialmente a base di riso, con salsette ultrasaporite vicino. manca completamente di sostanza, ma in compenso gonfia tantissimo. sono sazio e affamato allo stesso tempo. sarà per questo che qui la gente mangia a qualsiasi ora, e son tutti magri e con la pancia, come dei merli.
ieri sera mi sono rifugiato al mondegar, perché sapevo che lì avrei trovato un po' di carne.  pollo tandoori buonissimo, mi ha fatto piacere.
oggi sono stato così bravo da seguire il mio programma:stamattina ai dhobi ghats,  poi crawford market,  poi museo. ora mi sono rifugiato sa star*ucks, nel retro del taj mahal. è il male, ma ha poltrone comode,  caffé buono,  wi-fi gratis e aria condizionata a palla. un inferno gelato.
il dhobi ghats sono le lavanderie municipali: una serie di vasche di cemento piene d'acqua dove viene fatto tutto il bucato a mano della città, poi viene steso ad asciugare rigorosamente per colore. la parte deprimente è che li si vede da un cavalcavia, che fa da balconata per decine di turisti (qui è stranamente pieno di tedeschi) che fanno tutti la stessa foto (anche io), assediati da indiani che cercano di vendere paccottiglia.
almeno la gita mi ha dato la scusa per prendere il treno,  anche se per poche fermate.
di crawford market non scriverò, perché ci ero già stato. è identico a due anni fa. tié.

domenica 3 novembre 2013

mumbai 2 (il cricket)

oggi avrei voluto scrivere del cricket. invece no.  oggi è diwali,  e scriverò del diwali.
Il diwali è la ricorrenza del ritorno a casa di rama, dopo 14 anni di prigionia. per l'occasione parwati illuminò il sentiero di casa con dei lumini, e per tradizione si mettono dei lumini alla porta di casa,  si mettono luci natalizie, ci si veste bene, si esce a cena in locali di lusso (cioè quelli per turisti) e soprattutto si tirano il petardi. visto che a tutti gli indiani piace fare festa, anche il musulmani fanno le stesse cose. non ho idea di cosa pensino gli estremisti di questa forma di eresia.
il botti sono la parte di festeggiamento che piace di più, sembra una guerra, anzi peggio: sembra il capodanno a napoli. non fate conoscere il diwali ai napoletani, altrimenti quelli fanno come il musulmani indiani e si mettono a festeggiarlo pure loro.
io sono andato a vedere il botti a marine drive. più che botti sono dei veri e propri fuochi d'artificio, ma sparati dalla gente lungo tutti i tre chilometri di lungomare. sicurezza zero, gente tanta. mi sono fermato Il tempo di fare qualche foto,  poi quando un fuoco di quelli che dovrebbero esplodere a trenta metri d'altezza ha pensato bene di farlo a terra, a dieci metri da me,  ho deciso che avevo fatto abbastanza foto.
per festeggiare diwali a mio modo,  ho perso la carta di credito. dev'essere uscita dal portafogli mentre pagavo qualcosa. ho vuotato il portafogli del superfluo prima di partire, e la mancanza di pressione ha fatto sì che la carta potesse scivolare. me ne ero accorto,  l'avevo spostata in una posizione più sicura,  ma non è bastato.
ho rifatto al trotto tutto il giro dei posti in cui avevo usato il portafogli, chiedendo in bar e ristoranti e guardando per strada,  ma niente. le carte di credito qui fanno gola (shantaram docet), e mi son dovuto adattare a bloccarla.
per fortuna avevo pensato di tenere il bancomat da un'altra parte, e ho dietro un bel po' di euro. continuare il viaggio non è un problema, ma avrei evitato volentieri, soprattutto già al secondo giorno di viaggio. tanto più che qui molti alberghi chiedono la carta di credito come garanzia per le prenotazioni telefoniche.

happy diwali.

sabato 2 novembre 2013

mumbai 1

sarà che domani è diwali, sarà che ha dodici milioni di abitanti, e una città così grande non può non cambiare, ma mumbai non è la stessa di due anni fa. è più bella. caotica, vivace, degna, orgogliosa e sorridente.
questa volta mi sono concesso il lusso di farmi venire a prendere in aeroporto con la macchina dell'albergo. costa il triplo di un taxi, ma vuoi mettere la soddisfazione di vedere l'indiano in livrea viola e nera che mi aspetta con un cartello con scritto "welcome mr matteo"? e poi quel tragitto di un'ora e mezza,  sopra e sotto il cavalcavia, attraverso lo slum di dharavi, con il traffico più incredibile, le coppiette in moto - lui col casco, lei col saree tirato sul viso per non prendere polvere.
mi sono commosso. avevo voglia di essere qui. nella gente, nel casino, nel caldo. la gente che mi sorride per strada senza motivo,  come al burning man, il casino che mi avvolge e mi guida lasciando spazi piccoli da riempire, che messi in fila fanno un percorso, il caldo che mi fa appiccicare addosso gli odori e il rumori.
no, non è la città ad essere cambiata. è che questa volta non ne ho paura. riesco persino ad attraversare la strada. mi ci lascio andare, mi sento bene.