martedì 12 novembre 2013

pushkar 1 (baba, occhiali da sole e canne)

l'albergo mi ha prenotato il pullman per ajmer, la città più vicina a pushkar, tappa obbligata per arrivarci. costa solo 200 rupie, e un po' mi insospettisce perché  è un viaggio di cinque ore, saremo in India ma due euro e quaranta mi sembrano poco. la partenza è alle sette e per sicurezza alle sei e un quarto sono già sul tuc-tuc che mi porta alla fermata. in realtà è l'ufficetto dell'agenzia dei pullman, e ha le luci accese, mi conforta. forse sarà più facile della partenza da mumbai due anni fa. dopo di me arrivano altre persone, una famiglia (qui quando sono in tanti sono una famiglia) con un bambino piccolo. è buio, la città è stranamente silenziosa. ogni tanto passa un pullman e scarica qualcuno che si unisce al gruppo. cerco di chiacchierare con il padre del bambino, che avrà venticinque anni, ma parla solo gujarati, mi chiede se parlo hindi ma tanto non lo parla nemmeno lui. mi chiede dove vado, mi mostra sulla mappa del telefono dove vanno loro. sembra tutto rallentato. accanto a noi, per terra, c'è un fagotto con dentro qualcuno che dorme. improvvisamente tutto si anima: arriva il capo dell'agenzia, sorge il sole, la famiglia viene caricata a forza su un tuc-tuc di quelli a sei posti, compare del chai, una cagna cerca da mangiare. poi più niente. il tempo rallenta ancora. tengo d'occhio il responsabile, che ora son diventati tre, perché le sette son passate e il pullman non si vede. improvvisamente si rianomano, mi urlano ticket! ticket!, si avvicina un pullman, e senza nemmeno farlo fermare del tutto mi caricano di peso.
il pullman è mezzo sleeper e mezzo seated. significa che da un lato ci sono il letti, e dall'altro il sedili. sopra il sedili, altri letti. vedendomi indeciso (dovrei avere il posto n. 11 ma non vedo numeri) mi indicano i sedili e mi sistemo a caso. sono spaziosi, davanti al mio sedile c'è posto per lo zaino e per le mie gambe. fa freddo, metto il maglione, dormo.
il viaggio è infinito, ci sono un sacco di fermate e continuamente salgono e scendono persone. inutile dire c'è sono l'unico non indiano, ma nessuno ci fa caso. solo un ragazzo si siede vicino a me e fa le solite domande, teniamo d'occhio insieme il GPS.
lo tengo acceso perché le fermate vengono annunciate con urla incomprensibili, e capisco che dovrò scendere di corsa, meglio tenermi pronto.
a una fermata più lunga sale un tizio con un vassoio di ferro e sopra delle cose fritte. le riconosco, ci sono i peperoni piccanti farciti di garam masala, buonissimi ma troppo piccanti, e le polpette di ceci farcite, prendo una di quelle. è calda e buona, per colazione ci voleva.
vicino ad ajmer tengo acceso il GPS, chiedo ai quattro che stanno in cabina (il guidatore qui è separato dai passeggeri) se la fermata ad ajmer è in centro, loro non capiscono e mi rispondono di sì. ovviamente mi lasciano fuori città, in mezzo al niente dove vengo preso d'assalto dai tuc-tuc.
non gli voglio dare la soddisfazione di rapirmi fino a pushkar, e contratto un prezzo folle (250 rupie, tre euro) per portarmi alla stazione, dove spero di trovare il pullman per pushkar. trovo di meglio: una coppia di turisti sui settanta nel momento in cui trovano l'autista mandato dal loro albergo. mi faccio avanti al volo, saluto mi presento e scrocco un passaggio. scrocco per modo di dire, perché di sicuro mi farà pagare. ma almeno faccio due chiacchiere, sono australiani, e viaggio comodo su un SUV sette posti.
pushkar è l'estremo dell'India turistica. vive intorno a un lago sacro circondato da cinquantadue ghat, le discese verso l'acqua, e un'infinità di templi, alcuni minuscoli. le vie intorno sono un enorme bazar per turisti. tutti gli indiani presenti sono commercianti.
poi ci sono i baba, i santoni. girano per la città a gruppetti, con solo un bastone, un telo, un turbante e una coperta. non hanno l'aria mistica, ma vengono salutati con rispetto dagli indiani e osservati con curiosità dai turisti. sembrano non accorgersi di quello che gli accade intorno.
come sempre, passeggio a vuoto per orientarmi. passo il ponte,  scalzo come vuole la regola, e mi sentp chiamare. c'è un gruppetto di baba, seduti per terra davanti a un ghat, mi invitano a sedermi con loro. gli appassionati di terzani mi invidieranno, penso mentre mi siedo. mi salutano, mi stringono la mano, mi chiedono da dove vengo (sonia gandhi, sì), mi chiedono se ho sigarette, uno prende il miei occhiali da sole, li indossa, tutti applaudono, lui dice che è un regalo per il baba. sorrido, yes, per fortuna valgono poco, ne comprerò altri.
poi trovano la sigaretta, gli serviva per la canna. riempiono un cilum piccolino, ma dal profumo è bello potente. temo che si offendano, invece il mio rifiuto non gli interessa. dicono va bene, fai bene perché sei italiano, ma noi siamo baba e fumiamo ganja. fanno due tiri a testa al massimo, a giudicare dall'occhio immediatamente acquoso, quella roba dev'essere davvero forte.
quando smettono di parlare inglese li saluto, mi ridanno gli occhiali (io non ho bisogno, il miei occhi guardano il sole, dice) e continuo il giro.
tra due templi, in un vicolo deserto, vedo un banchetto di dolci. senza nemmeno notare l'insegna, noto un rotolo che sembra putizza. possibile? chiedo, il tipo dice che è tutto vegano, senza latte né uiva né  burro. verifico che non ci siano noci, e assaggio. meraviglia. buonissimo. non è putizza. ma l'impasto è simile e il ripieno anche, con in più un vago sapore di cocco. chiacchiero con il tizio, alzo gli occhi e vedo: german bakery since 1986.
il ristoranti sono italiani, tedeschi, israeliani. qualcuno fa anche cibo indiano, quasi tutti fanno la pizza.
benvenuto in India, quella vera.

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