sabato 12 giugno 2010

novi sad-belgrado-sarajevo

sono giorni senza bici, quelli che si passano con gli amici, e la figlia degli amici e gli amici degli amici. dovevano essere quattro a novi sad e una scappata a belgrado, invece un cambio di programma improvviso, di quelli che ti fanno fare cose più interessanti ma di cui non riesci a gioire, perché sono dovuti a una brutta notizia.
ma andiamo con ordine: novi sad è una bella città, piccola e con un centro (di due vie) curato, anche questo pieno di caffé dove è possibille bere solo caffé col latte o birra, ma non è possibile mangiare. la prima serata finisce a fare chiacchiere con serbi rientrati dall'italia, a prendesi in giro per le lingue e a fare a giri di birra e cevapi. socievoli, i serbi. chi dice "ci facciamo una birra" la offre a tutti. purtroppo lo capisco o mi viene spiegato troppo tardi, e sono troppo ospite e perdo l'occasione. ma la compagnia è piacevole. la stessa scena si ripete a belgrado, in un locale fantastico pieno di elegante paccottiglia, di quella che i romeni portano a vendere sulle statali del veneto con i pullman, ma alcune cose sono pregevoli, e loro nemmeno lo sanno. vecchi dagherrotipi, macchine per scrivere antiche, vecchie insegne di stazioni. un pavimento fatto di travi senza impiantito. questo è il wonder bar di belgrado, quello che non troverete su nessuna guida.
a belgrado ci arrivo in bus, perché la notizia della morte del collega di ashen ci prende impreparati, perché fa troppo caldo per fare cento chilometri di spietata campagna piattissima e deserta. nessuno si stupisce che io porti la bicicletta sul bus. paga come un normale bagaglio, 50 centesimi.
il giorno dopo mi affido a naden (il nome è di fantasia, non sono riuscito a impararlo), che mi scarrozza per i saliscendi di belgrado vecchia, per le ciclabili di belgrado nuova, sulla collina di zemun da dove si vede tutta la città. chiacchierata di rito con il barista sull'amico italiano che è arrivato in bicicletta, e si riparte per ada ciganlia, il lago ricavato da un ramo della sava, con acqua filtrata, spiagge, bar e pista ciclabile, per finire a pranzare in una trattoria sul fiume. una giornata memorabile.
poi riprendo la bici. o almeno ci provo, parto presto temento il caldo, arrivo in fretta a obrenovac tirato da un signore che non si accorge che gli sto dietro e va a trenta all'ora, quando poi si ferma per tornare indietro è stupito a vedere che c'ero io che gli stavo dietro con le valigie e tutto. a obrenovac faccio una piccola pausa e riparto, distrattamente. troppo distrattamente: solo dopo dieci chilometri mi rendo conto che non sto vedendo cartelli con il numero della mia statale, al primo paese cerco il nome sulla carta e mi gelo: sono completamente fuori strada, e la via più breve è tornare a obrenovac. a quel punto ho buttato via venti chilometri, un'ora, è quasi mezzogiorno e mi mancano ancora 120 chilometri, e ci sono i soliti 36 gradi fissi: decido di tornare a belgrado, compro un biglietto del bus per sarajevo, parto alle dieci di sera e viaggio di notte. nell'attesa vengo abbordato da un ragazzino norvegese, probabilmente attirato dall'uomo maturo con la pancia e la barba... ma lasciamo perdere.
alla frontiera con la bosnia la poliziotta è nervosa, forse per via dell'ora notturna, forse perché deve esserlo per mestiere. prima strapazza una ragazza spagnola che aveva cambiato posto e non era con l'amica che aveva il suo passaporto, poi prende il mio passaporto e dice qualcosa di molto preoccupante, a giudicare dal tono. io so che non avendo dormito in albergo sarei dovuto andare alla polizia a denunciare i miei spostamenti, so anche che non l'ho fatto perché sarebbe stato un casino per danilo, faccio la faccia stupita del turista con la coscienza pulita e che non capisce, la tipa mormora qualcosa e se ne va. purtroppo non vedo niente, ma le prime luci dell'alba mi mostrano un paesaggio spettacolare, peccato che abbia troppo sonno per godermelo. tornerò, magari in macchina.
sarajevo è una città di contraddizioni: donne velate con il viso truccato che passeggiano con amiche in hot pants e canottiera. chiese costruite accanto a moschee. muezzin e concerti rock per strada, banche ed edifici modernissimi accanto a ruderi semidistrutti dalla guerra. la guida dice che non ci sono quasi più rose, a sarajevo, ma in venti minuti di passeggiata ne vedo a decine. sono i segni lasciati sulle strade dalle granate dei mortai, durante l'assedio del 1992-1995

1 commento:

silvia* ha detto...

perché avresti dovuto comunicare se non dormivi in hotel???