mercoledì 22 novembre 2017

italiani in india

ovvero la fenomenologia del viaggiatore.
ora qui è bassa stagione, perché il turismo è soprattutto europeo, e in Europa le ferie si prendono a dicembre, non a novembre. quindi i turisti sono pochi. a mumbai non se ne vedono quasi, quei pochi sono raggruppati a colaba, la zona a sud del centro, e soprattutto pascolano al gateway of india o bevono una birra al leopold, l'unico locale famoso della città. gli unici italiani che abbiamo incontrato erano alle grotte di elephanta, e si lamentavano perché l'ingresso per gli indiani costa 30 rupie, mentre per gli stranieri costa 500. gli ho fatto notare che sono sette euro, e per un italiano che si può permettere un viaggio in india pesano meno delle 30 per un indiano. è rimasto lì a borbottare che però non è giusto.
a jpdhpur i turisti arrivano con il pullman, li scaricano al forte a fare oooh guardando la città dall'alto, poi li mollano al mercato della clock tower a farsi spennare, li vedi che non sanno da che parte girarsi tra un mendicante, le cacche di mucca, le mucche, le bancarelle di stoffe e di spezie. non sanno se essere affascinati o schifati, di sicuro non vedono l'ora di risalire sul pullman e avere di nuovo un vetro tra sé e il mondo. come in TV.
a Pushkar ci sono i fattoni professionisti. quelli che si vestono come pensano che ci si debba vestire in india, ovvero a metà tra dei guru, degli insegnanti di yoga e dei tossici. peccato che in india nessuno si vesta cosi: né i guru, né gli yogi, e i tossici qui non ci sono proprio. e quei vestiti di cotone a fiori da Beatles anni 70, gli indiani li vendono solo ai turisti. il turista di Pushkar ha trovato il suo nirvana: ha i dreadlock, gira scalzo, è sporco, è pieno di paccottiglia ai polsi e al collo. mi viene il sospetto che gli indiani di qui pensino che siamo tutti così. per dimostrare il contrario porto con orgoglio il mio completo adidas-levis-lacoste.
a Jaipur l'autista ci porta nell'ufficio dell'agenzia, dobbiamo pagare il servizio. scopriamo che siamo invitati a cena insieme ad altri italiani: una coppia di siciliani e una di toscani. nord-centro-sud, ci siamo tutti. fa piacere rilassarsi un paio d'ore, confrontarsi e parlare italiano. è come fare una pausa di casa a metà del viaggio. la ragazza siciliana è preoccupata per la pulizia, dice che le va bene tutto basta che sia pulito, la deludo suggerendole di dimenticarsi la pulizia. l'India è sporca, va accettata com'è e ammirata per altro. la signora toscana non mangia nulla se non sa cosa c'è dentro. le cito i nomi dei piatti suscitando il compiacimento del nostro ospite: biryani, palak, aloo jeera, naan... non funziona. le dico che se lo mangiano gli indiani lo possiamo mangiare anche noi, e che la cultura si capisce più da una cena che da un tempio. convinco solo suo marito.
non le confesso che avrei una gran voglia di un piatto di bresaola.

valeva il viaggio: il ritmo con cui gli operai stampano le stoffe, con i blocchetti di legno. ognuno con la sua parte di disegno e con il suo colore, in tre sullo stesso pezzo di stoffa. veloci, precisi e a tempo.

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