martedì 10 settembre 2013

la cenere dell'uomo bruciato

la parte più difficile del rientro nel mondo di tutti i giorni è fare i conti con la mancanza dei sorrisi. laggiù ci si abitua a incrociare lo sguardo con chiunque, sorridere e salutarsi. è un modo di dire "io esisto, tu esisti". di riconoscersi, di dirsi che non siamo soli e che non abbiamo nulla da temere. tornato a milano (anzi, già a san francisco), mi accorgo che le persone non si guardano in faccia. io le guardo, e loro guardano da un'altra parte. per strada sembra che tutti abbiano problemi di cervicale, camminano con il collo rigido per non far vedere dove guardano, per fingere di essere soli al mondo e che per strada non c'è nessun altro. e io mi sento scemo, a guardare qua e là come un bambino. ma sono felice di essere un bambino.
così ho avuto un momento di felice stupore, quando mentre stavo per mangiare il mio panino, a pranzo, mi son sentito salutare. stavo guardando un bambino in passeggino, che mi guardava perplesso. gli ho sorriso, ma il "ciao" timido che ho sentito non veniva da lui. veniva dal padre. si è avvicinato e sottovoce mi ha detto "ho fame". gli ho dato il panino, e sono andato a comprarne un altro.
ora ho capito perché la gente qui non si guarda e non sorride. perché qui se uno sconosciuto ti parla, è perché vuole qualcosa. e tu quel qualcosa non glielo vuoi dare.
e io finché riesco continuerò a incrociare gli sguardi, a sorridere e salutare. anche a costo di dargli il mio panino. che tutto sommato non mi ha fatto sentire male. anzi.

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