ma non credo che lei abbia visto me. forse mi aspettava nella valle rossa, avevo detto che sarei passato da lì, poi miha chiamato isa dandomi indicazioni come solo lei non sa fare... è come seguire un navigatore che dà i comandi in ordine casuale, e non si sa cosa viene prima e cosa viene dopo. per fortuna le salite si riconoscono dalla fatica, e le discese dalla paura. la salita del santuario di altino è dura, durissima. e per giunta con un asfalto pessimo. buche e ghiaia a non finire. talmente ripida che a trecento metri dal santuario, a forza di tirare sul manubrio per far andare giù i pedali, la bici impennava. non mi era mai successo. scendo dall'altra parte ma mi perdo il lago di endine, forse è troppo piccolo o forse ho sbagliato strada. vado verso bergamo, chiamo per avere indicazioni e finalmente trovo tommy che mi chiama dalla finestra. senza di lui sarei tranquillamente andato oltre cercando il bosco che avevo alle spalle. mi ficcano barrette nelle tasche, cercano di convincermi a mangiare un piatto di pasta, se l'avessi accettato mi avrebbero legato e portato in montagna con loro, e magari sarebbe stata anche una buona idea.
invece riparto, torno a nembro, fatico a trovare la salita per selvino ma alla fine ce la faccio. per fortuna è molto più dolce dell'altra, salgo sciolto col mio passo, che è molto più lento di quello degli altri ciclisti (tranne quelli con la maunteinbaic, che si portano dietro peso e gomma inutile sull'asfalto, ma va di moda...).
a selvino chiedo a un signore da dove si scende per gazzaniga, lui mi dice eh no, prima deve salire! ma come... io credevo... tutta questa fatica... affronto l'erta finale come fantozzi, la guardo e non ne ho voglia, preso dalla voglia di girare la bici e rifare la strada in discesa mi volto, ma dietro di me c'è un altro ciclista. non si rinuncia davanti a un collega. stringo i denti e altro, e arrivo all'osservatorio. è un posto splendido: la strada è stretta e rovinata, ma all'ombra del bosco oltre i mille metri, con valli a strapiombo sulla destra. riesco a fare fatica anche in discesa, così ripida e con l'asfalto rovinato, ma ne vale la pena.
nembro-altino-trescore-nembro-selvino-gazzaniga-nembro
80 km
4h 06'
19,51 kmh medi
56,23 kmh max
1.657 m dislivello
154 bpm medi
sabato 26 giugno 2010
lunedì 14 giugno 2010
mostar-makarska
non mi faccio illusioni né sulla discesa né sul fresco: mostar è solo a 50m di altitudine, e il mare è a 50 km. armato di pazienza parto dopo un'abbondante colazione, qui fanno le brioche con la marmellata di visciole (visnja), che sono una delizia, ma bisogna andare a prendersele al panettiere perché i bar fanno solo il caffé.
dopo la vallata di mostar la neretva si infila di nuovo in una gola, anche se più larga di quelle di ieri, e il vento si fa sentire ma non mi infastidisce, è come se avesse cambiato odore e mi attira. finalmente vedo i primi gabbiani, il mare si avvicina... pedalo allegramene fino a opuzen, un paesino di pescatori nel largo estuario della neretva. mentre entro in paese vedo che sto compiendo il millesimo chilometro, esattamente nel momento in cui sono nel punto più a sud di tutto il viaggio. il vento che fino ad ora ho avuto contro mi aiuterà nella risalita verso spalato? mi fermo a mangiare a ploce, so che sono solo a metà tappa e anche se sono sul mare non è ancora finita. la costa qui è molto alta anche se poco frastagliata, e la strada non è tutta in riva al mare come la cartina farebbe pensare. a solo 100 m dalla costa ci sono montagne che passano i 1000 metri! il bello della dalmazia è questo, che ha spiagge bianchissime e acque tranquille protette dalle isole. per questo i boschi scendono fino a un paio di metri dall'acqua, il verde si rispecchia nell'acqua. sono cambiati i profumi, invece degli abeti sento il ginepro e la resina dei pini, invece dei piccioni i gabbiani. non sono ancora a spalato ma sono già felice di essere sul mare, è già un traguardo raggiunto.
la partenza da trieste sembra lontanissima, eppure sono solo due settimane. il cambio del tempo la fa sembrare ancora più lontana. per dare un'idea, avevo azzerato l'altimetro sul molo a trieste, ora che sono di nuovo sul mare dovrebbe segnare 0 ma dice che sono 361 metri sotto il livello del mare. di tanto è salita la pressione. non so cosa significhi, ma mi diverte.
decido di lasciare la statale ogni volta che c'è un paesino in basso sulla costa, per vederli (dopotutto sono anche un turista) e per stare più in basso possibile. purtroppo mi frego da solo: a Igrane non trovo la strada per tonare sulla statale, che nel frattempo si è alzata di 150 metri. per recuperarla devo scalare una rampa durissima, mi devo fermare più volte a riprendere fiato e ogni volta ripartire è una sofferenza. quando arrivo alla statale sono così esausto che per dare precedenza a una macchina in arrivo mi sbilancio, metto giù un piede ma il bagaglio tira giù la bici di lato, cerco di tenerla in piedi e mi slogo un dito. che idiota. la lezione del giorno è che se tu sei in piedi e la bici vuole cadere, lasciala cadere. tanto di graffi ne ha già in abbondanza.
makarska è abbastanza piccola per essere piacevole e abbastanza grande per trovare quello che si ha voglia di fare, mi fermerò qui qualche giorno, a spalato ci andrò solo per prendere il traghetto.
mostar-makarska
127 km
6h 4'
20,93 kmh medi
871 m dislivello
138 bpm medi
domenica 13 giugno 2010
sarajevo-mostar
sulla cartina sembra tutto semplice e bello, sarajevo è una città allungata sul fiume miljiacka, basta seguirlo verso sud per imboccare la statale per mostar. e invece all'uscita dalla città la sorpresa: la statale diventa una superstrada, con tanto di cartello di divieto. due corsie senza corsia d'emergenza. torno indietro, cerco un'alternativa, ma non trovo niente. entro a chiedere da un benzinaio, che è a cavallo tra la stradina delle casette e la superstrada. mi conferma che l'unico modo è passare per la highway, ma che finisce dopo a couple of miles. vedo che entrando in superstrada dal benzinaio non c'è divieto, e decido che non è una superstrada, e se mi ferma qualcuno almeno ho qualcosa a cui appellarmi. percorro i cinque chilometri di pura follia a velocità da motorino, in apnea. per fortuna c'è poco traffico. il tempo sembra clemente, ci sono nuvoloni che non minacciano pioggia ma riparano dal sole. i primi cinquanta chilometri sono piacevoli, so che mi aspetta un passo a 1000m, ma sarajevo è già abbastanza alta, per cui la salita è anche piacevole, a parte gli ultimi due chilometri, dove la strada si allarga ed è esposta al sole. in cima c'è una sorgente, io ho fatto buona scorta di acqua e non mi fido, anche se c'è un bosniaco che è salito con la famiglia e i bottiglioni a prendere l'acqua di sorgente, e dice che è buona. quando scopre che sono italiano vuole chiacchierare, dice che ha un fratello a senigallia, parla un po' di italiano. ci metto un po' a capire che siamo stati a konjic a mangiare cevapi vuol dire stiamo andando, e che mi sta invitando a pranzo. dice che sono ancora venti chilometri, e mi conferma che è tutta discesa. dopo il ponte a destra, dice. la cosa mi diverte, e accetto volentieri di mangiare e chiacchierare con uno del posto.
la discesa è entusiasmante. sarà che tra onu, nato comunità europea e unesco la bosnia è tutta ricostruita, ma le strade sono le più belle che ho trovato da quando son partito, l'asfalto è perfetto e sono belle larghe. anche il parco macchine è decisamente più moderno che in serbia, mi affumico di meno e ho l'impressione che gli automobilisti siano anche più educati e mi passino più lontano. ma forse è solo un'impressione che voglio avere. il mantra del giorno è che la civiltà di un popolo si vede da come rispetta i ciclisti. comunque il cartello dopo il passo segna una discesa al 9%, mi butto senza frenare, con il limite a 40 vado a 65, le macchine non mi stanno dietro e per fortuna non ne incontro nemmeno davanti, avrei l'imbarazzo di doverle sorpassare. forse arrivo a konjic troppo presto e il tipo non mi aspettava ancora, fatto sta che faccio quattro giri del paese (insignificante, ma con un bel ponte trecentesco sulla neretva) e non lo trovo. fuori da un locale che fa cevapi vedo una macchina che potrebbe essere la sua, mi fermo a mangiare ma non si fa vivo. caro amico bosniaco, se mai leggerai queste righe sappi che io c'ero!
dopo konjic passo un colle e sono sulla discesa della neretva, che mi porta fino a mostar. la parte alte della valle è spettacolare. il paesaggio cambia completamente, sembra di essere sulle dolomiti: una stretta gola circondata da vette rocciose verticali, sono a solo 200 m di altitudine ma ci sono cartelli che indicano le piste da sci. purtroppo la strada spiana dopo una ventina di chilometri, ci si aggiunge il vento contro e nonostante la bellezza del paesaggio l'arrivo a mostar è una tortura di caldo. nonostante abbia acqua a sufficienza mi fermo tre volte in tre baretti a prendere una limonata. da queste parti si usa quella vera, limone acqua ghiaccio zucchero, ed è buonissima.
sarajevo-mostar
141 km
6h 27'
21,89 kmh medi
64 kmh max
803m dislivello
141 bpm medi
sabato 12 giugno 2010
novi sad-belgrado-sarajevo
sono giorni senza bici, quelli che si passano con gli amici, e la figlia degli amici e gli amici degli amici. dovevano essere quattro a novi sad e una scappata a belgrado, invece un cambio di programma improvviso, di quelli che ti fanno fare cose più interessanti ma di cui non riesci a gioire, perché sono dovuti a una brutta notizia.
ma andiamo con ordine: novi sad è una bella città, piccola e con un centro (di due vie) curato, anche questo pieno di caffé dove è possibille bere solo caffé col latte o birra, ma non è possibile mangiare. la prima serata finisce a fare chiacchiere con serbi rientrati dall'italia, a prendesi in giro per le lingue e a fare a giri di birra e cevapi. socievoli, i serbi. chi dice "ci facciamo una birra" la offre a tutti. purtroppo lo capisco o mi viene spiegato troppo tardi, e sono troppo ospite e perdo l'occasione. ma la compagnia è piacevole. la stessa scena si ripete a belgrado, in un locale fantastico pieno di elegante paccottiglia, di quella che i romeni portano a vendere sulle statali del veneto con i pullman, ma alcune cose sono pregevoli, e loro nemmeno lo sanno. vecchi dagherrotipi, macchine per scrivere antiche, vecchie insegne di stazioni. un pavimento fatto di travi senza impiantito. questo è il wonder bar di belgrado, quello che non troverete su nessuna guida.
a belgrado ci arrivo in bus, perché la notizia della morte del collega di ashen ci prende impreparati, perché fa troppo caldo per fare cento chilometri di spietata campagna piattissima e deserta. nessuno si stupisce che io porti la bicicletta sul bus. paga come un normale bagaglio, 50 centesimi.
il giorno dopo mi affido a naden (il nome è di fantasia, non sono riuscito a impararlo), che mi scarrozza per i saliscendi di belgrado vecchia, per le ciclabili di belgrado nuova, sulla collina di zemun da dove si vede tutta la città. chiacchierata di rito con il barista sull'amico italiano che è arrivato in bicicletta, e si riparte per ada ciganlia, il lago ricavato da un ramo della sava, con acqua filtrata, spiagge, bar e pista ciclabile, per finire a pranzare in una trattoria sul fiume. una giornata memorabile.
poi riprendo la bici. o almeno ci provo, parto presto temento il caldo, arrivo in fretta a obrenovac tirato da un signore che non si accorge che gli sto dietro e va a trenta all'ora, quando poi si ferma per tornare indietro è stupito a vedere che c'ero io che gli stavo dietro con le valigie e tutto. a obrenovac faccio una piccola pausa e riparto, distrattamente. troppo distrattamente: solo dopo dieci chilometri mi rendo conto che non sto vedendo cartelli con il numero della mia statale, al primo paese cerco il nome sulla carta e mi gelo: sono completamente fuori strada, e la via più breve è tornare a obrenovac. a quel punto ho buttato via venti chilometri, un'ora, è quasi mezzogiorno e mi mancano ancora 120 chilometri, e ci sono i soliti 36 gradi fissi: decido di tornare a belgrado, compro un biglietto del bus per sarajevo, parto alle dieci di sera e viaggio di notte. nell'attesa vengo abbordato da un ragazzino norvegese, probabilmente attirato dall'uomo maturo con la pancia e la barba... ma lasciamo perdere.
alla frontiera con la bosnia la poliziotta è nervosa, forse per via dell'ora notturna, forse perché deve esserlo per mestiere. prima strapazza una ragazza spagnola che aveva cambiato posto e non era con l'amica che aveva il suo passaporto, poi prende il mio passaporto e dice qualcosa di molto preoccupante, a giudicare dal tono. io so che non avendo dormito in albergo sarei dovuto andare alla polizia a denunciare i miei spostamenti, so anche che non l'ho fatto perché sarebbe stato un casino per danilo, faccio la faccia stupita del turista con la coscienza pulita e che non capisce, la tipa mormora qualcosa e se ne va. purtroppo non vedo niente, ma le prime luci dell'alba mi mostrano un paesaggio spettacolare, peccato che abbia troppo sonno per godermelo. tornerò, magari in macchina.
sarajevo è una città di contraddizioni: donne velate con il viso truccato che passeggiano con amiche in hot pants e canottiera. chiese costruite accanto a moschee. muezzin e concerti rock per strada, banche ed edifici modernissimi accanto a ruderi semidistrutti dalla guerra. la guida dice che non ci sono quasi più rose, a sarajevo, ma in venti minuti di passeggiata ne vedo a decine. sono i segni lasciati sulle strade dalle granate dei mortai, durante l'assedio del 1992-1995
ma andiamo con ordine: novi sad è una bella città, piccola e con un centro (di due vie) curato, anche questo pieno di caffé dove è possibille bere solo caffé col latte o birra, ma non è possibile mangiare. la prima serata finisce a fare chiacchiere con serbi rientrati dall'italia, a prendesi in giro per le lingue e a fare a giri di birra e cevapi. socievoli, i serbi. chi dice "ci facciamo una birra" la offre a tutti. purtroppo lo capisco o mi viene spiegato troppo tardi, e sono troppo ospite e perdo l'occasione. ma la compagnia è piacevole. la stessa scena si ripete a belgrado, in un locale fantastico pieno di elegante paccottiglia, di quella che i romeni portano a vendere sulle statali del veneto con i pullman, ma alcune cose sono pregevoli, e loro nemmeno lo sanno. vecchi dagherrotipi, macchine per scrivere antiche, vecchie insegne di stazioni. un pavimento fatto di travi senza impiantito. questo è il wonder bar di belgrado, quello che non troverete su nessuna guida.
a belgrado ci arrivo in bus, perché la notizia della morte del collega di ashen ci prende impreparati, perché fa troppo caldo per fare cento chilometri di spietata campagna piattissima e deserta. nessuno si stupisce che io porti la bicicletta sul bus. paga come un normale bagaglio, 50 centesimi.
il giorno dopo mi affido a naden (il nome è di fantasia, non sono riuscito a impararlo), che mi scarrozza per i saliscendi di belgrado vecchia, per le ciclabili di belgrado nuova, sulla collina di zemun da dove si vede tutta la città. chiacchierata di rito con il barista sull'amico italiano che è arrivato in bicicletta, e si riparte per ada ciganlia, il lago ricavato da un ramo della sava, con acqua filtrata, spiagge, bar e pista ciclabile, per finire a pranzare in una trattoria sul fiume. una giornata memorabile.
poi riprendo la bici. o almeno ci provo, parto presto temento il caldo, arrivo in fretta a obrenovac tirato da un signore che non si accorge che gli sto dietro e va a trenta all'ora, quando poi si ferma per tornare indietro è stupito a vedere che c'ero io che gli stavo dietro con le valigie e tutto. a obrenovac faccio una piccola pausa e riparto, distrattamente. troppo distrattamente: solo dopo dieci chilometri mi rendo conto che non sto vedendo cartelli con il numero della mia statale, al primo paese cerco il nome sulla carta e mi gelo: sono completamente fuori strada, e la via più breve è tornare a obrenovac. a quel punto ho buttato via venti chilometri, un'ora, è quasi mezzogiorno e mi mancano ancora 120 chilometri, e ci sono i soliti 36 gradi fissi: decido di tornare a belgrado, compro un biglietto del bus per sarajevo, parto alle dieci di sera e viaggio di notte. nell'attesa vengo abbordato da un ragazzino norvegese, probabilmente attirato dall'uomo maturo con la pancia e la barba... ma lasciamo perdere.
alla frontiera con la bosnia la poliziotta è nervosa, forse per via dell'ora notturna, forse perché deve esserlo per mestiere. prima strapazza una ragazza spagnola che aveva cambiato posto e non era con l'amica che aveva il suo passaporto, poi prende il mio passaporto e dice qualcosa di molto preoccupante, a giudicare dal tono. io so che non avendo dormito in albergo sarei dovuto andare alla polizia a denunciare i miei spostamenti, so anche che non l'ho fatto perché sarebbe stato un casino per danilo, faccio la faccia stupita del turista con la coscienza pulita e che non capisce, la tipa mormora qualcosa e se ne va. purtroppo non vedo niente, ma le prime luci dell'alba mi mostrano un paesaggio spettacolare, peccato che abbia troppo sonno per godermelo. tornerò, magari in macchina.
sarajevo è una città di contraddizioni: donne velate con il viso truccato che passeggiano con amiche in hot pants e canottiera. chiese costruite accanto a moschee. muezzin e concerti rock per strada, banche ed edifici modernissimi accanto a ruderi semidistrutti dalla guerra. la guida dice che non ci sono quasi più rose, a sarajevo, ma in venti minuti di passeggiata ne vedo a decine. sono i segni lasciati sulle strade dalle granate dei mortai, durante l'assedio del 1992-1995
lunedì 7 giugno 2010
osijek-novi sad
mica capito perché i serbi devono usare il cirillico, che li si capisce così bene senza. ma andiamo con ordine. finalmente riesco a fare una colazione decente, anzi una english breakfast proprio, con uovo pancetta salsiccette (le adoro) caffé succo di frutta pane di un sacco di tipi diversi formaggio prosciutto salame. bis di succo di frutta. è il vantaggio di stare nella pensione della dependance di un hotel a 4 stelle.
parto abbastanza presto, ma fa già caldo. 30 gradi già alle nove del mattino, e niente vento. il ciclista è una bestia strana, riesce a lamentarsi di tutto: se fa freddo perché fa freddo, se fa caldo perché fa caldo, se piove perché si bagna e se non piove perché suda. se ci son le salite perché si fa fatica, e se c'è pianura perché è monotono, e quindi faticoso. i primi quaranta chilometri sono così: una strada tirata con il righello in mezzo alla pianura più piana del mondo. vado in trance al terzo chilometro, mi sveglio a vukovar. non so a quanti dice qualcosa, ma a me il nome risveglia ricordi di telegiornali che elencavano numeri di morti come numeri al lotto. 78 giorni di assedio hanno lasciato il segno, eccome. già prima di entrare in città vedo palazzi bombardati. quello che fa impressione di un palazzo bombardato è che non è un cumulo di macerie, è un palazzo reso grigio dall'abbandono, e bucato come un gruviera. magari la struttura portante regge, ma un angolo sembra mangiato via da un'enorme bocca dentata. mancano dei pezzi qua e là, grandi pezzi circolari asportati come con precisione. intorno, palazzi abitati con ancora i segni delle schegge delle granate. per terra, un buco rattoppato, con intorno una raggiera di bucherelli. mortaio, forse. in centro, palazzi di cristallo accanto a palazzi (che in passato devono anche essere stati belli) bombardati e abbandonati. nella piazza centrale un monumento con fiori freschi, mi avvicino a vedere e mi sorprendo a vedere che è un busto di tudjman, che altrove è considerato un criminale di guerra quasi al pari di milosevic. all'uscita della città, quello che sembra un enorme monumento all'assedio: la gigantesca colonna del serbatoio dell'acqua, altissima e imponente, crivellata di colpi che la passano da parte a parte. si vede l'interno della cisterna, le quinte della colonna che la sostengono sono smangiate da un enorme mostro, sembra impossibile che stia ancora in piedi. mi viene in mente che è perfettamente logico: se devi assediare una città la prima cosa che fai è toglierle l'acqua. se c'è un serbatoio, lo bombardi. mi trattengo dal fotografarla, per pudore.
dopo vukovar trovo un altro cicloviaggiatore, il primo di questo viaggio. ci fermiamo a fare due chiacchiere in mezzo al nulla, è un giapponese che è partito da vienna e va a belgrado. è abbigliato in modo eccentrico, con gli occhiali da sole indossati al contrario, e le lenti da vista sollevate che a quel punto gli stanno sotto gli occhi. mi dà un suo biglietto da visita, gli scrivo la mia mail. è diretto a ilok, mancano pochi chilometri. sembra stupito quando gli dico che stasera sarò a novi sad. chissà se lo sentirò mai più.
al confine serbo mi accoglie una bellissima poliziotta tutta sorriso e marzialità, bocca perfetta, buongiorno, benvenuto, timbro, grazie, arrivederci.
decido di passare a sud del danubio, dalla cartina sembra un lungofiume. invece è una specie di altipiano, ogni tanto scendo in picchiata per superare un fiumiciattolo e poi riarrampicarmi dall'altra parte. discese e salite diligentemente segnalate, tutte all'8%. le maledico. con questo caldo arrivo a novi sad sfinito.
per fortuna so che passerò la serata e i prossimi giorni tra amici, appena li vedo passa tutto, li abbraccio anche se mi sento sudato e sporco, mi accolgono con una pizza e una doccia. non mi sono mai sentito meglio.
osijek-novi sad
126,31 km
5h 51'
21 km/h medi
660 m dislivello
141 bpm medi
parto abbastanza presto, ma fa già caldo. 30 gradi già alle nove del mattino, e niente vento. il ciclista è una bestia strana, riesce a lamentarsi di tutto: se fa freddo perché fa freddo, se fa caldo perché fa caldo, se piove perché si bagna e se non piove perché suda. se ci son le salite perché si fa fatica, e se c'è pianura perché è monotono, e quindi faticoso. i primi quaranta chilometri sono così: una strada tirata con il righello in mezzo alla pianura più piana del mondo. vado in trance al terzo chilometro, mi sveglio a vukovar. non so a quanti dice qualcosa, ma a me il nome risveglia ricordi di telegiornali che elencavano numeri di morti come numeri al lotto. 78 giorni di assedio hanno lasciato il segno, eccome. già prima di entrare in città vedo palazzi bombardati. quello che fa impressione di un palazzo bombardato è che non è un cumulo di macerie, è un palazzo reso grigio dall'abbandono, e bucato come un gruviera. magari la struttura portante regge, ma un angolo sembra mangiato via da un'enorme bocca dentata. mancano dei pezzi qua e là, grandi pezzi circolari asportati come con precisione. intorno, palazzi abitati con ancora i segni delle schegge delle granate. per terra, un buco rattoppato, con intorno una raggiera di bucherelli. mortaio, forse. in centro, palazzi di cristallo accanto a palazzi (che in passato devono anche essere stati belli) bombardati e abbandonati. nella piazza centrale un monumento con fiori freschi, mi avvicino a vedere e mi sorprendo a vedere che è un busto di tudjman, che altrove è considerato un criminale di guerra quasi al pari di milosevic. all'uscita della città, quello che sembra un enorme monumento all'assedio: la gigantesca colonna del serbatoio dell'acqua, altissima e imponente, crivellata di colpi che la passano da parte a parte. si vede l'interno della cisterna, le quinte della colonna che la sostengono sono smangiate da un enorme mostro, sembra impossibile che stia ancora in piedi. mi viene in mente che è perfettamente logico: se devi assediare una città la prima cosa che fai è toglierle l'acqua. se c'è un serbatoio, lo bombardi. mi trattengo dal fotografarla, per pudore.
dopo vukovar trovo un altro cicloviaggiatore, il primo di questo viaggio. ci fermiamo a fare due chiacchiere in mezzo al nulla, è un giapponese che è partito da vienna e va a belgrado. è abbigliato in modo eccentrico, con gli occhiali da sole indossati al contrario, e le lenti da vista sollevate che a quel punto gli stanno sotto gli occhi. mi dà un suo biglietto da visita, gli scrivo la mia mail. è diretto a ilok, mancano pochi chilometri. sembra stupito quando gli dico che stasera sarò a novi sad. chissà se lo sentirò mai più.
al confine serbo mi accoglie una bellissima poliziotta tutta sorriso e marzialità, bocca perfetta, buongiorno, benvenuto, timbro, grazie, arrivederci.
decido di passare a sud del danubio, dalla cartina sembra un lungofiume. invece è una specie di altipiano, ogni tanto scendo in picchiata per superare un fiumiciattolo e poi riarrampicarmi dall'altra parte. discese e salite diligentemente segnalate, tutte all'8%. le maledico. con questo caldo arrivo a novi sad sfinito.
per fortuna so che passerò la serata e i prossimi giorni tra amici, appena li vedo passa tutto, li abbraccio anche se mi sento sudato e sporco, mi accolgono con una pizza e una doccia. non mi sono mai sentito meglio.
osijek-novi sad
126,31 km
5h 51'
21 km/h medi
660 m dislivello
141 bpm medi
domenica 6 giugno 2010
virovitica-osijek
credo di non aver mai pedalato una tappa più piatta di questa. la salita più lunga e più alta è stata un ponte sopra la ferrovia. sono partito con l'altimetro a 110, all'arrivo segna 113. probabilmente è un po' calata la pressione...
parto più tardi del previsto perché voglio fare colazione. ieri sera avevo visto un caffé con una sembianza di un banco pasticceria, e mi lascio ingannare. chiedo le palacinke, ma non le fanno (anche se ce n'è una incartapecorita in esposizione da campionario). prendo un tiramisù, ma ne lascio metà perché il mascarpone sa di ricotta, e temo per il mio intestino. non ho ancora capito come si fa, da queste parti, a ordinare un caffé nero. non un espresso, un caffé americano come lo fanno in tutto il mondo, nero. senza latte. dico kava ne mljeko, e mi portano un caffé macchiato caldo. a zagabria l'avevo rimandato indietro, stamattina non ne ho voglia e lo bevo, anche perché è sinceramente buono.
dopo solo sette chilometri (per fortuna, l'aria era ancora fresca), eccola: la prima foratura del viaggio. torno indietro di duecento metri per sfruttare una comodissima pensilina dell'autobus con panchetta e ombra, e smonto. trovo il buco, non trovo la causa. la lezione imparata oggi è che è meglio tenere la confezione di fazzoletti detergenti in una delle tasche esterne delle borse, altrimenti dopo aver riparato la foratura bisogna ravanare con le mani luride in mezzo ai vestiti lavati la sera prima, e non è bello.
il vento mi è contrario per tutta la tappa. quando non è contrario, è assente. in ogni caso non mi ha aiutato per un metro.
essendo domenica, non faccio affidamento sui ristoranti: c'è un lidl aperto a virovitica, e decido di comprare abbastanza da mangiare per pranzo, merenda e cena. fa caldo, molto caldo. faccio fuori le due borracce, la bottiglietta di succo di mela comprata al lidl, una coca cola e un enorme gelato trovato per strada, a donji miholiac, buonissimo. da queste parti noto come siano tutti molto più gentili che non dalle parti di zagabria: la gente mi saluta per strada (probabilmente parleranno di me per settimane, solo per avermi visto passare), gli automobilisti non mi fanno il pelo, nei negozi apprezzano i miei sforzi di parlare croato (da, ne, dobrdàn, hvala, dovidjenja) e mi vengono incontro a gesti, o in inglesco.
ho deciso di cambiare percorso, per passare vicino alla drava. speravo di vederla, invece si indovina appena, strano come i grandi fiumi abbiano un loro odore. intuisco che quella fila di alberi che mi scorre sulla sinistra è l'ungheria. passo per valpovo, sembra insignificante come tutti i paesini della zona, invece ha un bel castello al centro, maltenuto ma interessante: circondato da un fossato, poi da mura, e le mura sono state usate come fondamente per un castello e per una chiesa. l'insieme ha un qualcosa di grottesco e affascinante. davanti alla parte castel-simile c'è un giardino, tutto sommato decente a parte le zanzare. fa caldo, molto caldo. buona parte dell'acqua se ne va versata sul coppino o sui guanti, ho scoperto che è un ottimo modo per rinfrescarsi sprecandone pochissima: tenere bagnati i guantini con qualche goccia d'acqua. fa talmente caldo che quando arrivo mi accorgo che il formaggio rimasto dal pranzo si è letteralmente fuso...
ieri sera in televisione davano profumo: pessimo film tratto da un pessimo libro. l'odore del giorno è quello delle carogne dei gatti incontrati per strada.
virovitica-osijek
124,58 km
5h 44'
21,67 km/h medi
223 m dislivello
140 bpm medi (il caldo e il vento contro...)
parto più tardi del previsto perché voglio fare colazione. ieri sera avevo visto un caffé con una sembianza di un banco pasticceria, e mi lascio ingannare. chiedo le palacinke, ma non le fanno (anche se ce n'è una incartapecorita in esposizione da campionario). prendo un tiramisù, ma ne lascio metà perché il mascarpone sa di ricotta, e temo per il mio intestino. non ho ancora capito come si fa, da queste parti, a ordinare un caffé nero. non un espresso, un caffé americano come lo fanno in tutto il mondo, nero. senza latte. dico kava ne mljeko, e mi portano un caffé macchiato caldo. a zagabria l'avevo rimandato indietro, stamattina non ne ho voglia e lo bevo, anche perché è sinceramente buono.
dopo solo sette chilometri (per fortuna, l'aria era ancora fresca), eccola: la prima foratura del viaggio. torno indietro di duecento metri per sfruttare una comodissima pensilina dell'autobus con panchetta e ombra, e smonto. trovo il buco, non trovo la causa. la lezione imparata oggi è che è meglio tenere la confezione di fazzoletti detergenti in una delle tasche esterne delle borse, altrimenti dopo aver riparato la foratura bisogna ravanare con le mani luride in mezzo ai vestiti lavati la sera prima, e non è bello.
il vento mi è contrario per tutta la tappa. quando non è contrario, è assente. in ogni caso non mi ha aiutato per un metro.
essendo domenica, non faccio affidamento sui ristoranti: c'è un lidl aperto a virovitica, e decido di comprare abbastanza da mangiare per pranzo, merenda e cena. fa caldo, molto caldo. faccio fuori le due borracce, la bottiglietta di succo di mela comprata al lidl, una coca cola e un enorme gelato trovato per strada, a donji miholiac, buonissimo. da queste parti noto come siano tutti molto più gentili che non dalle parti di zagabria: la gente mi saluta per strada (probabilmente parleranno di me per settimane, solo per avermi visto passare), gli automobilisti non mi fanno il pelo, nei negozi apprezzano i miei sforzi di parlare croato (da, ne, dobrdàn, hvala, dovidjenja) e mi vengono incontro a gesti, o in inglesco.
ho deciso di cambiare percorso, per passare vicino alla drava. speravo di vederla, invece si indovina appena, strano come i grandi fiumi abbiano un loro odore. intuisco che quella fila di alberi che mi scorre sulla sinistra è l'ungheria. passo per valpovo, sembra insignificante come tutti i paesini della zona, invece ha un bel castello al centro, maltenuto ma interessante: circondato da un fossato, poi da mura, e le mura sono state usate come fondamente per un castello e per una chiesa. l'insieme ha un qualcosa di grottesco e affascinante. davanti alla parte castel-simile c'è un giardino, tutto sommato decente a parte le zanzare. fa caldo, molto caldo. buona parte dell'acqua se ne va versata sul coppino o sui guanti, ho scoperto che è un ottimo modo per rinfrescarsi sprecandone pochissima: tenere bagnati i guantini con qualche goccia d'acqua. fa talmente caldo che quando arrivo mi accorgo che il formaggio rimasto dal pranzo si è letteralmente fuso...
ieri sera in televisione davano profumo: pessimo film tratto da un pessimo libro. l'odore del giorno è quello delle carogne dei gatti incontrati per strada.
virovitica-osijek
124,58 km
5h 44'
21,67 km/h medi
223 m dislivello
140 bpm medi (il caldo e il vento contro...)
sabato 5 giugno 2010
zagabria-virovitica
voglio vivere così, col sole in fronte
finalmente il sole! ormai non ci speravo quasi più.
parto presto senza aver deciso con certezza la destinazione: vorrei arrivare a virovitica, ma non escludo di fermarmi a djurdjevac se il tempo, le gambe, il vento, le salite, la fame, gli alberghi, la voglia.
rientrando in ostello dalla colazione incontro il coreano conosciuto ieri sera che esce per andare al colloquio di lavoro per cui è venuto a zagabria. non sono riuscito a decifrare che tipo di colloquio sia, ma è nervosissimo. ieri sera ha passato un'ora a rifarsi il trucco, si è spalmato la faccia di una farmacia di è rimasto a letto con una specie di maschera di bellezza. questa mattina si è svegliato alle cinque e mezza per uscire alle otto, perché doveva ripetere l'operazione. quando il bagno era occupato (da me) si è seduto per terra in corridoio, circondato da un sacco di bottigliette, e davanti a uno specchio si spalmava con cura la faccia. quando l'ho incontrato vestito e tirato a lucido si è premurato di chiederrmi come stava. ovviamente gli ho detto che era una meraviglia, anche se era ridicolo e aveva una macchia sul risvolto della giacca nera (solo un coreano o un inglese possono andare a un colloquio di lavoro in camicia bianca e completo nero). ci teneva molto a farmi sapere che la cravatta che indossava era italiana. mi sono astenuto dal dirgli che la cravatta è stata inventata in croazia.
a proposito degli incontri nell'ostello di zagabria, sulle tre ragazzine inglesi (che poi si è scoperto essere canadesi, di quebec city) non dico niente, per solleticare le fantasie di chi legge.
l'uscita da zagabria è brutta come l'entrata, con in più una strada asfaltata male, anzi in lastroni di cemento, odiosi, con giunture ogni sei metri (mi metto a contare i giri di pedale e a calcolare lo sviluppo del rapporto, per saperlo). per qualche chilometro mi salvo pedalando su qualcosa tra una corsia di emergenza e un canale di scolo, che è sempre in cemento ma ha il vantaggio di essere più regolare, e di tenermi più lontano dai camion. la sofferenza dura una ventina di chilometri, fino a dugo selo. poi magicamente tutto migliora: asfalto liscio, strada larga e pochissimo traffico. purtroppo ho un debole ma costante vento contro, che mi affatica molto più di quello che avevo messo in conto.
a bjelovar trovo i primi segni della guerra: un sito bombardato fuori città, le cui rovine, insieme con i moncherini carbonizzati degli alberi che gli stavano intorno, sono state convertite in monumento. il cartello recita "spomen produčje barutana, bjelovar 1991". devo cercare il significato.
le alte vette che temevo, tra bjelovar e djurdjevac, altro non sono che morbidi colli coltivati a grano e granturco. prima di affrontarli cerco un ristorante, ma ne trovo uno solo, dove stanno facendo le prove dell'orchestrina per una cena di cerimonia, ma mi dicono che non possono farmi nemmeno un panino perché non hanno la corrente, e non possono affettare il prosciutto. sorrido come se non pensassi male di loro, e proseguo.
entro in un bar. in slovenia e in croazia, i bar servono caffé e birra. qualche volta cocktail. ma chiedetegli un toast, una brioche, un panino o delle patatine fritte, e vi guardano stupiti con l'aria di chi pensa che solo un idiota potrebbe chiedere un panino in un bar. proseguo ancora.
decido che se non trovo da mangiare, mi fermo a djurdjevac. giusto poco prima del paese, vedo un ristorante. ci provo, senza troppa convinzione, e invece nonostante sia deserto è aperto! ordino uno shnijtzel, se non altro perché è l'unica cosa di cui conosco il significato (regola che di solito non seguo, ordino le cose perché mi piace il nome, tanto mangio tutto) e mi arriva un involtino di carne di vitello e maiale, letteralmente annegata in una salsa di funghi. buono e pesante, esattamente quello che mi ci vuole. rinfrancato, decido di proseguire anche perché ormai sono nella valle della drava, il vento dovrebbe essere alle spalle e invece cessa del tutto, meglio che niente.
virovitica (pron. virovitiza) è il nulla con un nome da città. entrando vedo una scritta sobe, che vuol dire camere. tre stelle. mi avvicino, sembra l'ingresso di un garage, chiuso e con un forte odore di urina, e un cartello con un numero da chiamare. cerco altro, ma non trovo niente. non ho voglia di tornare indietro di 15 km fino all'hotel **** mozart. chiamo. dico l'unica parola che so: sobe. in due minuti arriva un tipo che mi apre, non parla altro che croato ma posso volere solo una stanza. sembra pulito e ordinato, la stanza è minuscola ma va benone. per 200 kn (24 euro) è un lusso. pago, c'è anche la colazione self service con il nescafé per domattina. il tizio mi fa i complimenti per come parlo croato. basta poco per essere di buonumore.
zagabria-virovitica
148,22 km
6h 49'
21,70 kmh medi
600 m dislivello
142 bpm medi
finalmente il sole! ormai non ci speravo quasi più.
parto presto senza aver deciso con certezza la destinazione: vorrei arrivare a virovitica, ma non escludo di fermarmi a djurdjevac se il tempo, le gambe, il vento, le salite, la fame, gli alberghi, la voglia.
rientrando in ostello dalla colazione incontro il coreano conosciuto ieri sera che esce per andare al colloquio di lavoro per cui è venuto a zagabria. non sono riuscito a decifrare che tipo di colloquio sia, ma è nervosissimo. ieri sera ha passato un'ora a rifarsi il trucco, si è spalmato la faccia di una farmacia di è rimasto a letto con una specie di maschera di bellezza. questa mattina si è svegliato alle cinque e mezza per uscire alle otto, perché doveva ripetere l'operazione. quando il bagno era occupato (da me) si è seduto per terra in corridoio, circondato da un sacco di bottigliette, e davanti a uno specchio si spalmava con cura la faccia. quando l'ho incontrato vestito e tirato a lucido si è premurato di chiederrmi come stava. ovviamente gli ho detto che era una meraviglia, anche se era ridicolo e aveva una macchia sul risvolto della giacca nera (solo un coreano o un inglese possono andare a un colloquio di lavoro in camicia bianca e completo nero). ci teneva molto a farmi sapere che la cravatta che indossava era italiana. mi sono astenuto dal dirgli che la cravatta è stata inventata in croazia.
a proposito degli incontri nell'ostello di zagabria, sulle tre ragazzine inglesi (che poi si è scoperto essere canadesi, di quebec city) non dico niente, per solleticare le fantasie di chi legge.
l'uscita da zagabria è brutta come l'entrata, con in più una strada asfaltata male, anzi in lastroni di cemento, odiosi, con giunture ogni sei metri (mi metto a contare i giri di pedale e a calcolare lo sviluppo del rapporto, per saperlo). per qualche chilometro mi salvo pedalando su qualcosa tra una corsia di emergenza e un canale di scolo, che è sempre in cemento ma ha il vantaggio di essere più regolare, e di tenermi più lontano dai camion. la sofferenza dura una ventina di chilometri, fino a dugo selo. poi magicamente tutto migliora: asfalto liscio, strada larga e pochissimo traffico. purtroppo ho un debole ma costante vento contro, che mi affatica molto più di quello che avevo messo in conto.
a bjelovar trovo i primi segni della guerra: un sito bombardato fuori città, le cui rovine, insieme con i moncherini carbonizzati degli alberi che gli stavano intorno, sono state convertite in monumento. il cartello recita "spomen produčje barutana, bjelovar 1991". devo cercare il significato.
le alte vette che temevo, tra bjelovar e djurdjevac, altro non sono che morbidi colli coltivati a grano e granturco. prima di affrontarli cerco un ristorante, ma ne trovo uno solo, dove stanno facendo le prove dell'orchestrina per una cena di cerimonia, ma mi dicono che non possono farmi nemmeno un panino perché non hanno la corrente, e non possono affettare il prosciutto. sorrido come se non pensassi male di loro, e proseguo.
entro in un bar. in slovenia e in croazia, i bar servono caffé e birra. qualche volta cocktail. ma chiedetegli un toast, una brioche, un panino o delle patatine fritte, e vi guardano stupiti con l'aria di chi pensa che solo un idiota potrebbe chiedere un panino in un bar. proseguo ancora.
decido che se non trovo da mangiare, mi fermo a djurdjevac. giusto poco prima del paese, vedo un ristorante. ci provo, senza troppa convinzione, e invece nonostante sia deserto è aperto! ordino uno shnijtzel, se non altro perché è l'unica cosa di cui conosco il significato (regola che di solito non seguo, ordino le cose perché mi piace il nome, tanto mangio tutto) e mi arriva un involtino di carne di vitello e maiale, letteralmente annegata in una salsa di funghi. buono e pesante, esattamente quello che mi ci vuole. rinfrancato, decido di proseguire anche perché ormai sono nella valle della drava, il vento dovrebbe essere alle spalle e invece cessa del tutto, meglio che niente.
virovitica (pron. virovitiza) è il nulla con un nome da città. entrando vedo una scritta sobe, che vuol dire camere. tre stelle. mi avvicino, sembra l'ingresso di un garage, chiuso e con un forte odore di urina, e un cartello con un numero da chiamare. cerco altro, ma non trovo niente. non ho voglia di tornare indietro di 15 km fino all'hotel **** mozart. chiamo. dico l'unica parola che so: sobe. in due minuti arriva un tipo che mi apre, non parla altro che croato ma posso volere solo una stanza. sembra pulito e ordinato, la stanza è minuscola ma va benone. per 200 kn (24 euro) è un lusso. pago, c'è anche la colazione self service con il nescafé per domattina. il tizio mi fa i complimenti per come parlo croato. basta poco per essere di buonumore.
zagabria-virovitica
148,22 km
6h 49'
21,70 kmh medi
600 m dislivello
142 bpm medi
venerdì 4 giugno 2010
novo mesto-zagabria
non siamo mica fatti di zucchero
com'è che dicevo? il brutto della pioggia è che piove. cielo basso, scuro, pioggia fin dalla partenza e per più di metà tappa. all'inizio è un saliscendi che sarebbe anche paicevole se fosse asciutto. poi assolutamente piatta, sono nella valle della sava, che si butterà nella drava che si butterà nel danubio. in pratica a parte qualche collina domani, le salite son finite fino a belgrado.
passo una salita in mezzo al bosco, qui ci sono boschi bellissimi. gli animali sentono passare le macchine sulla strada e se ne tengono lontane, ma quando passa una bicicletta non si spaventano, e restano vicino al ciglio della strada fino all'ultimo momento. dopo il capriolo dell'altro giorno, oggi vedo da vicino un falco, o un'aquila, non so non me ne intendo. fattosta che questa meraviglia decide di non aver voglia di alzarsi sopra gli alberi, e che è più comodo volare lungo la strada che attraverso il bosco, fa almeno duecento metri volando davanti a me, a pochi metri dall'asfalto. ha un'apertura alare enorme, occupa quasi interamente una corsia. in fondo alla discesa mi fermo a coprirmi, non mi interessa bagnarmi ma ho paura del freddo. ormai sono preparatissimo per il saliscendi con la pioggia: mantellina senza maniche chiusa in discesa e aperta in salita, per non inzupparmi di sudore in salita e non congelare in discesa.
dopo il confine il contrasto tra croazia e slovenia è lampante: la strada è vecchia e malandata, piena di buche e di rattoppi che non fanno altro che peggiorare la situazione. gli automobilisti croati, che in slovenia erano correttissimi, cominciano a fare a gara a chi mi passa più vicino. vincono quelli con i suv, ovviamente. dopotutto non posso lamentarmi troppo, è esattamente quello a cui sono abituato in italia (ed è il motivo per cui non faccio viaggi in italia).
zagabria non è brutta come mi hanno detto né come lascia pensare la guida: il centro è splendido, vivace e caratteristico, con vecchie viuzze pedonali che salgono verso le colline. il resto... beh basta non andarci.
novo mesto-zagabria
86,96 km
4h 51'
19,62 km/h medi
381 m dislivello
130 bpm medi
giovedì 3 giugno 2010
lubiana-novo mesto
o il battesimo dello sterrato
tappa splendida. parto sotto la minaccia della pioggia, le previsioni danno temporali. il bello dei temporali, rispetto alla pioggia, è che sono piccoli e si muovono velocemente, per cui può sembrarti di giocarci a rimpiattino per mezza giornata, e non sai se ne uscirai zuppo o perfettamente asciutto. in ogni caso mi preparo al diluvio. l'importante è partire con l'asciutto: salire in sella già bagnati è molto più spiacevole che non bagnarsi mentre ci si è già scaldati pedalando.
l'uscita da lubiana è facilitata da una ciclabile che è poco più di una riga tirata sul marciapiedi, ma almeno c'è (cosa che in italia è raro poter dire).
dopo pochi chilometri lascio la statale e mi avventuro in una stradina secondaria, per fortuna qui le strade sono tutte segnalate molto bene, e non corro il rischio di avere dubbi sul percorso. la strada sale come da programma, ma d'un tratto, la sorpresa: terra battuta. non male, come sterrato, liscio liscio e leggermente in salita, ma sempre sterrato è. sono molto contento di aver cambiato le gomme, con quelle lisce da corsa sarei dovuto tornare indietro. invece vado avanti per sette chilometri nel bosco fitto, non passa una macchina, piove e lo sterrato è bagnato, ma son tranquillo. c'è profumo di funghi, sopra gli alberi sono faggi e larici, sotto ci sono lamponi e felci. scollino a 490 metri, e la discesa non è bella come la salita: la strada è più ripida e piena di buche e di rocce affioranti. per fortuna non prendo troppa velocità e mi concentro sull'evitare le pietre più grandi, il ghiaino smosso e le buche, soprattutto quelle piene d'acqua: non si può sapere quanto sono profonde, e dentro potrebbe esserci nascosto il mostro mangiagomme, che non lascia scampo.
arrivo all'asfalto giusto in tempo per prendermi una bella lavata, mi riparo sotto la tettoia di un contadino, il cui cane mi abbaia due volte poi si acquieta.
la scelta del percorso è azzeccata: da lì in poi è tutta discesa lungo il fiume krka, fino a novo mesto. a zuzemberk mi fermo a vedere il castello, sono fortunato: una comitiva di austriaci sta uscendo, e il guardiano mi dà due minuti prima di chiudere, è simpatico e facciamo due chiacchiere. ogni volta che sentono che sono italiano, la risposta è sempre la stessa: ah, italijani, milenovecientoquaranta e tre, komunisti, fascisti, bum! bum! sì, è vero. c'è stato l'otto settembre, qualche anno fa. magari poi sono successe anche altre cose, eh. ma vabbé.
novo mesto è una delusione: cittadina fondata dal nulla da un imperatore austroungarico che doveva lasciare un segno per non essere dimenticato, ha provato a dare il suo nome alla città, ma è sempre rimasta la città nuova, novo mesto. è in una posizione splendida, al centro di una profonda ansa del fiume, come lubiana. ma non è lubiana. è anonima e triste.
lubiana-novo mesto
76,91 km
3h 49'
20,10 km/h medi
484m dislivello
141 bpm medi
tappa splendida. parto sotto la minaccia della pioggia, le previsioni danno temporali. il bello dei temporali, rispetto alla pioggia, è che sono piccoli e si muovono velocemente, per cui può sembrarti di giocarci a rimpiattino per mezza giornata, e non sai se ne uscirai zuppo o perfettamente asciutto. in ogni caso mi preparo al diluvio. l'importante è partire con l'asciutto: salire in sella già bagnati è molto più spiacevole che non bagnarsi mentre ci si è già scaldati pedalando.
l'uscita da lubiana è facilitata da una ciclabile che è poco più di una riga tirata sul marciapiedi, ma almeno c'è (cosa che in italia è raro poter dire).
dopo pochi chilometri lascio la statale e mi avventuro in una stradina secondaria, per fortuna qui le strade sono tutte segnalate molto bene, e non corro il rischio di avere dubbi sul percorso. la strada sale come da programma, ma d'un tratto, la sorpresa: terra battuta. non male, come sterrato, liscio liscio e leggermente in salita, ma sempre sterrato è. sono molto contento di aver cambiato le gomme, con quelle lisce da corsa sarei dovuto tornare indietro. invece vado avanti per sette chilometri nel bosco fitto, non passa una macchina, piove e lo sterrato è bagnato, ma son tranquillo. c'è profumo di funghi, sopra gli alberi sono faggi e larici, sotto ci sono lamponi e felci. scollino a 490 metri, e la discesa non è bella come la salita: la strada è più ripida e piena di buche e di rocce affioranti. per fortuna non prendo troppa velocità e mi concentro sull'evitare le pietre più grandi, il ghiaino smosso e le buche, soprattutto quelle piene d'acqua: non si può sapere quanto sono profonde, e dentro potrebbe esserci nascosto il mostro mangiagomme, che non lascia scampo.
arrivo all'asfalto giusto in tempo per prendermi una bella lavata, mi riparo sotto la tettoia di un contadino, il cui cane mi abbaia due volte poi si acquieta.
la scelta del percorso è azzeccata: da lì in poi è tutta discesa lungo il fiume krka, fino a novo mesto. a zuzemberk mi fermo a vedere il castello, sono fortunato: una comitiva di austriaci sta uscendo, e il guardiano mi dà due minuti prima di chiudere, è simpatico e facciamo due chiacchiere. ogni volta che sentono che sono italiano, la risposta è sempre la stessa: ah, italijani, milenovecientoquaranta e tre, komunisti, fascisti, bum! bum! sì, è vero. c'è stato l'otto settembre, qualche anno fa. magari poi sono successe anche altre cose, eh. ma vabbé.
novo mesto è una delusione: cittadina fondata dal nulla da un imperatore austroungarico che doveva lasciare un segno per non essere dimenticato, ha provato a dare il suo nome alla città, ma è sempre rimasta la città nuova, novo mesto. è in una posizione splendida, al centro di una profonda ansa del fiume, come lubiana. ma non è lubiana. è anonima e triste.
lubiana-novo mesto
76,91 km
3h 49'
20,10 km/h medi
484m dislivello
141 bpm medi
martedì 1 giugno 2010
postumia-lubiana
decido che la tappa è abbastanza breve e abbastanza in discesa per prendermela comoda, e vado a vedere le grotte. dopotutto non ha senso fermarsi in un posto dove non c'è altro, e non vedere l'unica cosa che c'è da vedere. effettivamente sono impressionanti, ma rese ridicole dal trenino e dal cemento sparso su boschi di stalagmiti per farci passeggiare i turisti. farli alitare in un ambiente altrimenti asettico. fargli inquinare con il grasso delle loro mani concrezioni calcaree vecchie di centinaia di milioni di anni. masta sfiorarle con un dito per far tornare indietro di anni la storia, cinquanta ogni millimetro, dice la guida.
guardo il proteo, animaletto assurdo la cui storia mi ricorda quella del chirocefalo: cieco, con un paio di polmoni fossili e delle buffe branchie esterne, con il corpo da serpente, la coda da pesce e le zampette da lucertola, rosa pallido come un uomo. mangia una volta ogni cinque anni, poveretto. e quell'unica volta mangia vermi.
la strada fino a logatec è ancora saliscendi, col vento contro, a fare a rimpiattino con le doline. ma l'aria fresca e il profumo di resina e lampone dei boschi di abeti la rendono piacevole. poi finalmente una discesa. lunga, larga, liscia, una picchiata a sessanta all'ora fregandomene dei pochi camion, perché c'è spazio per tutti.
poi a vrhnika (bel nome, eh) succede l'incredibile. sto pedalando sulla ciclabile accanto alla statale, a poche decine di metri c'è l'autostrada, in mezzo capannoni industriale da sobborgo. insomma, situazione da arrivo imminente della capitale, quando un capriolo si imbizzarrisce e mi taglia la strada! tanto vicino che freno per non andargli addosso, scivola tra un salto e l'altro sulle unghie, balza in mezzo alla strada e si infila nel giardino di una villetta, sull'altro lato della statale. mi fermo, guardo una signora ferma in macchina, anche lei ha inchiodato. ci sorridiamo, e si riparte. tutto troppo veloce anche per pensare, ma era grosso, visto saltare così, e bellissimo.
lubiana è molto bella, il centro accarezza un'ansa del fiume, sotto lo sguardo del castello. palazzi bianchi e rosa ben tenuti, centinaia di bar aperti, gente tranquilla. domani sto fermo un giro, non per riposarmi ma perché se non mi fermo nei posti che mi piacciono, quando lo faccio?
postumia-lubiana
55,70 km
2h 31'
22,12 km/h medi
329 m dislivello
139 bpm medi
guardo il proteo, animaletto assurdo la cui storia mi ricorda quella del chirocefalo: cieco, con un paio di polmoni fossili e delle buffe branchie esterne, con il corpo da serpente, la coda da pesce e le zampette da lucertola, rosa pallido come un uomo. mangia una volta ogni cinque anni, poveretto. e quell'unica volta mangia vermi.
la strada fino a logatec è ancora saliscendi, col vento contro, a fare a rimpiattino con le doline. ma l'aria fresca e il profumo di resina e lampone dei boschi di abeti la rendono piacevole. poi finalmente una discesa. lunga, larga, liscia, una picchiata a sessanta all'ora fregandomene dei pochi camion, perché c'è spazio per tutti.
poi a vrhnika (bel nome, eh) succede l'incredibile. sto pedalando sulla ciclabile accanto alla statale, a poche decine di metri c'è l'autostrada, in mezzo capannoni industriale da sobborgo. insomma, situazione da arrivo imminente della capitale, quando un capriolo si imbizzarrisce e mi taglia la strada! tanto vicino che freno per non andargli addosso, scivola tra un salto e l'altro sulle unghie, balza in mezzo alla strada e si infila nel giardino di una villetta, sull'altro lato della statale. mi fermo, guardo una signora ferma in macchina, anche lei ha inchiodato. ci sorridiamo, e si riparte. tutto troppo veloce anche per pensare, ma era grosso, visto saltare così, e bellissimo.
lubiana è molto bella, il centro accarezza un'ansa del fiume, sotto lo sguardo del castello. palazzi bianchi e rosa ben tenuti, centinaia di bar aperti, gente tranquilla. domani sto fermo un giro, non per riposarmi ma perché se non mi fermo nei posti che mi piacciono, quando lo faccio?
postumia-lubiana
55,70 km
2h 31'
22,12 km/h medi
329 m dislivello
139 bpm medi
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